Benvenuti a Los Angeles. Questa non è la Città di Smeraldo
che avevate immaginato di trovare e Dorothy non è più la dolce good good girl che viene dal Kansas ma una giovane ninfa scappata
di casa per giungere dalla zia Martha, creatura disturbante tanto quanto la fauna che
si muove fra i corridoi dell’albergo che dirige.
Paul Bartel,
regista dal gusto sopraffino cresciuto (senza morirvi) alla corte di Roger
Corman realizza il suo primo cortometraggio, Bambole e sangue (Private parts) superando i generi,
innestandoli l’uno sull'altro (proprio come fa il protagonista George con le
sue bambole riempite d’acqua) per ottenere un oggetto cinematografico “altro”,
inclassificabile e per questo difficile da vendere, ma stupendo nella capacità
di prendere l’immondizia, il sordido, il disturbante, spargerlo per i corridoi
di un malandato albergo e dare vita a una visione brillante e di grande
genialità.
Vale la pena ricordare come l’«albergo» sia da
considerarsi una categoria Avant-Pop a tutti gli effetti, in cui ogni camera,
ogni piano, ogni corridoio o ascensore è l’apertura su un immaginario diverso
(o su schegge dello stesso), una finestra liminale sulle più disparate
categorie psicoanalitiche. Ricordiamo Hotel Room di David Lynch, Shining, Four Rooms e Barton Fink dei fratelli Coen, solo per fare qualche esempio.
Bartel ne celebra ogni angolo, persino il più mefitico, col fare dell’esteta. Dal
seminterrato, con la camera oscura del fotografo George, al santuario leather gay del reverendo Moon (con
tanto di statua di Cristo avvolta nelle catene e carte da gioco à la «Physique Pictorial»), dall'appartamento
di Zia Martha (che sembra uscito, come la proprietaria, da Gran Bollito di Mauro Bolognini) alla camera-set di George, un’installazione
disturbante a metà fra la factory di Warhol e il racconto di Poe. Paul Bartel
ci fa muovere in ognuna di esse, ci fa sentire ogni scricchiolio, ogni rumore
fra le pareti, ci fa godere di ogni sguardo da voyeur, ci fa inaspettatamente entrare in camere, dove attempate
carampane in Wayfarers si fanno le lampade invocando il nome di modelle morte o
svuotare quella del più ubriaco e sudicio degli avventori.
Bambole e
sangue regala alcune fra le visioni più disturbanti del cinema (non avete
idea di cosa si può fare con un prelievo di sangue e una bambola gonfiabile
piena d’acqua), si muove a metà fra Psycho
e Sleepaway Camp, vi s’incontrano,
fugaci, Warhol, De Palma e John Waters. In definitiva un recupero necessario
che restituisce il giusto merito a un regista di grande valore come Paul
Bartel.