martedì 24 luglio 2012

Rabbia di Chuck Palahniuk (2007)


Sulla possibilità che il noir sia in grado di trovare e battere nuove e più interessanti strade a livello di costruzione narrativa e di godibilità del testo tanto si è discusso negli anni passati, soprattutto grazie al lieto avvento di un ben nutrito fronte di scrittori, europei, americani e oggi anche orientali che si sono adoperati con sorprendente entusiasmo per rivoluzionarne le istanze e le caratteristiche intrinseche. A buona ragione è bene inserire in tale gruppo di penne affilate anche Chuck Palahniuk, emblema di un certo tipo di scrittura tagliente, equilibrata e organica, nonostante l'altalenante qualità della sua ultima produzione. Oggi prendiamo in esame Rabbia. Una biografia orale di Buster Casey da noi edito per la collana «Strade Blu» di Mondadori, in cui l’alto grado di sperimentazione narrativa si coniuga al rapporto tra oralità e scrittura. Gli eventi vengono narrati da una costellazione di personaggi più o meno distanti dalla figura di Buster Casey (che leggeremo in prima persona apparentemente solo di passaggio). Si tratta di familiari, amici, conoscenti, devoti, nemici, e intellettuali, tutti ansiosi di contribuire alla ricostruzione degli eventi atroci legati alla vita (o sarebbe meglio dire alle vite?) del giovane protagonista. Già leggendo i primi contributi pare quasi di vederli, seduti in cerchio come nel più classico dei gruppi d’ascolto, ognuno pronto a dire la sua sulle vicende che man mano vengono prese in considerazione. Dalle prime battute il lettore deve abituarsi a procedere tra decine di punti di vista e opinioni differenti, allontanandosi costantemente da una lettura passiva degli eventi.
Chi è in realtà Buster Casey? Palahniuk decide di narrarne le gesta partendo dall’infanzia, in una imprecisata e indecifrabile provincia americana, fatta di paesaggi monotoni e paure domestiche, di presunti principi religiosi e terrificanti contraltari. Il piccolo Casey è così violento come tutti dicono? O si tratta di un bambino dotato di capacità straordinarie vittima degli eventi? A spiegarlo saranno i dettagli organici, all'inizio presenti come saltuari riferimenti al veleno animale, agli insetti che in orrorifico movimento abitano i giardini perfetti e curatissimi della periferia in cui è ambientato parte del racconto (e qui il riferimento al cinema di David Lynch diventa citazione); poi in relazione alle uccisioni e successivamente alle morti apparentemente accidentali e forse per questo maggiormente terribili; infine alla malattia, quella rabbia del titolo che vedrà in Buster Casey un possente e scellerato superdiffusore. Dalla comunità suburbana le vicende si spostano presto alla città, per Palahniuk vero simbolo di realtà futuribile, dove l’elemento segregante è essenzialmente costituito dal tempo e soprattutto dalla netta scansione tra giorno e notte. Sarà qui che Buster Casey troverà il suo habitat ideale, tra immaginifici paesaggi notturni, neon, junk food e splendide automobili da distruggere. Facile scomodare Nietzsche per decostruire le azioni del protagonista, attorniato da una piccola cerchia di fedelissimi freak, deformi nell'aspetto come nelle azioni; meglio parlare di solitudine «da passages» dato che proprio nel movimento e nel party crashing (nuova frontiera di quell'aggregante sociale costituito dai fight club) i protagonisti troveranno le proprie ultime finalità.

Ma qual è il confine ultimo oltre il quale un eroe diventa antieroe? Per Palahniuk la risposta risiede nella malattia, nel dolore che provoca, nei cambiamenti del corpo e della psiche e nel modo in cui è capace di sfigurare una geografia sociale rigidamente definita. In definitiva un ottimo romanzo capace di sfigurare gli stereotipi legati alla malattia e al concetto di mito postmoderno, altresì in grado di ritrovare l’adorabile intreccio tra parola e organicità intesa come sangue, tessuti e lacerante dolore.

Nessun commento:

Posta un commento