mercoledì 17 ottobre 2012

Carrie - Lo sguardo di Satana di Brian De Palma (1976)


Come spesso accade con la materia narrativa di Stephen King utilizzata al cinema anche Carrie, leggendario romanzo breve del 1974, è assorbito e metabolizzato nella visione del regista che si prende l’onere di portarla sul grande schermo. In questo caso Brian De Palma che materializza la storia della giovane esper di Chamberlain secondo le proprie ossessioni, i propri modelli e stilemi. Carrie - Lo sguardo di Satana è un film deliziosamente agghiacciante, nella sua composizione di tensione, paura e carica visiva. Già dalle prime sequenze De Palma ci introduce, con la lentezza tensiva che è ormai la sua firma, al primo grande trauma della giovane Carrie (Sissy Spacek): il suo scoprirsi donna in quel rivolo di sangue che gli scivola sulla coscia sotto la doccia, arriva dopo il piano sequenza che attraversa lo spogliatoio della palestra dove le altre ragazze vivono con disinvoltura la propria femminilità. È un passaggio chiave, scatenante e terrificante perché non annunciato, reso traumatico dalla pioggia di assorbenti che le compagne di classe le gettano addosso deridendola. De Palma, porta lo spettatore ad abbandonare il suo status per renderlo partecipe, facendo coincidere il suo sguardo con quello dell’atterrita giovane donna sotto la doccia. È questo a rendere Carrie – Lo sguardo di Satana una felice trasposizione del romanzo di King. Nelle istanze del re del brivido (dichiarate esplicitamente in On writing) Carrie è un personaggio le cui caratteristiche portano a un’identificazione da parte del lettore in maniera ecumenica, «a guardar bene, tutti abbiamo conosciuto (o siamo stati) Carrie da giovani.», Brian De Palma non perde tempo a ricordarcelo.
Da questo momento in poi è un focalizzare – secondo la lezione hitchcockiana – sul rapporto morboso fra Carrie e la mefistofelica e alienata genitrice Margaret White (Piper Laurie). Quest’ultima cela sotto la sua follia fondamentalista un trauma d’abbandono e riversa nero rancore sulle esili membra della figlia (che nel romanzo è invece grassa) con le sacre scritture usate come arma. La casa delle White (in perfetto stile Carpenter Gothic) è un labirinto di anfratti bui e insostenibili, in cui la summa dell’orrore è dato dall’orribile “stanzino della penitenza” in cui un’immagine cristologica infilzata e sanguinante atterrisce e annichilisce (rovinandola irrimediabilmente) la mente di Carrie.

Il cambiamento fisico della giovane White coincide con il manifestarsi dei propri poteri. Come tutti i cambiamenti negli adolescenti anche questo risulta incomprensibile e mal gestito. Potrebbe rappresentare una luminosa via salvifica ma finirà per diventare il sigillo della sua prigione infernale. Se nel libro la violenza di Carrie si scatena oltre che sui suoi aguzzini su tutti quella che incontra in città - deflagrando quindi dal trauma privato al tessuto sociale che l’ha prodotto, deriso e ignorato - De Palma decide di puntare ancora una volta tutta l’attenzione sul rapporto madre/figlia. Casa White diventa il luogo dove la tensione raggiunge il suo massimo e si diffonde tra le assi annerite della soffitta e della cucina male illuminata della signora Margaret. Sarà qui che avverrà il confronto finale. Un confronto che ha le sembianze grottesche della passione cattolica, con tanto di sacrificio ed estasi. Rimane poi leggendario (perché terrificante e assoluto) il finale di De Palma, assai apprezzato e invidiato dallo stesso Stephen King.

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