sabato 24 novembre 2012

Totally Fucked Up di Gregg Araki (1993)


Ci sono, occasionalmente, registi che sono in grado di rappresentare la realtà sociale e culturale che li ha prodotti, diventando, al di là delle proprie prerogative e i propri stilemi, dei Grandi Narratori Epocali. Questo manipolo di filmaker imprigiona l’essenza di un’epoca, per nostre future visioni, condivisioni e immedesimazioni. Tra questi vi è certamente il losangelino Gregg Araki che con la sua TeenageApocalypse Trilogy ha messo in scena la sensibilità insicura, pop, malinconica e possibilista dell’intero decennio degli anni Novanta. La trilogia apre nel 1993 con Totally Fucked Up, in cui Araki muove il suo sguardo su una Los Angeles dai grandi formati, dove ogni non-luogo è al servizio della narrazione Avant-Pop costruita per i giovani protagonisti. Lavanderie, car wash, stazioni di servizio, negozi di dischi e ovviamente supermarket (paradigma centrale e infernale della rappresentazione narrativa e filmica degli anni Novanta), vengono attraversati, inglobano e divorano i personaggi che, serafici, sembrano ignorare le enormi cartellonistiche pubblicitarie (che fanno del film un vero happening pop art) e gli spazi vacui e vuoti, sporadicamente attraversati da assurdi individui ormai non più umani. Gregg Araki utilizza tutto questo splendido materiale pop, luccicante e di facile consumo per manipolarlo, esplorarlo e trasformarlo in citazioni e riferimenti continui che completano la narrazione.
Al centro dell’affresco Avant-Pop di Gregg Araki c’è una famiglia customizzata che sembra derivare dall’idea di Kitchen di Banana Yoshimoto (1988). Un gruppo di adolescenti omosessuali, tipizzati, che muovono, ognuno a suo modo sperimentando, lo sguardo, i sensi e i corpi tesi, in un ultimo sprazzo vitalistico e sensuale, giusto prima del declino annunciato. Ci sono le deliziose Patricia e Michele, l’unica coppia tradizionale del gruppo, materne, vitali e centrali per la famiglia customizzata; Andy lo slacker dark e ipersensibile che avverte già l’orrore che deflagrerà, fragilissimo nelle fattezze dell’amato James Duval (che Araki vorrà al centro delle successive pellicole della trilogia Doom Generation e Nowhere), Tommy (Roko Belic, qui sbarbatellissimo) che vive ancora con mammà, prototipo teen cui è destinato il compito di conservare ancora delle illusioni; Steven il fedifrago autore delle testimonianze e delle interviste che andranno a costituire lo scheletro autoreferenziale del film e infine Deric vittima di violenza perché omosessuale. Topica la narrazione dell’aggressione a Deric e le reazioni della famiglia customizzata, un modus operandi che segnerà la strada per il New Queer Cinema.  

In Totally Fucked Up e nella cinematografia di Araki, non si tratta di rifiuto del realismo, ma di rifiuto del realismo convenzionale. Totally Fucked Up è figlio di una cultura che trova i suoi modelli stilistici in MTV, negli stacchi improvvisi, nel surfing tra i canali, nell'interattività e nell'inesorabile decadimento della realtà (siamo pure sempre in una Apocalypse Trilogy no?). Ecco quindi le citazioni-slogan che introducono gli eventi e le testimonianze dei protagonisti su amore, modelli culturali, masturbazione, sesso, maturità. L’insicurezza trova pace solo con il tentativo di registrare, ordinare e assoggettare alla ragione tutto ciò che li riguarda e li circonda. È la poetica del frammento (qui ce ne sono ben quindici, ordinatamente numerati) che in Araki trova esaltazione e compimento. Incombe su tutto, poi, un’aura millenaristica, apocalittica, che sembra rarefare l’aria che i giovani protagonisti respirano e aver degradato già la comunità incrociata per strada, sui pianerottoli, nei supermercati. Scopriremo che questo è il preludio a ciò che verrà raccontato nella mattanza di The Doom Generation.

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