domenica 2 febbraio 2014

Miller's Crossing - Crocevia della morte dei fratelli Coen (1990)

Dopo il nero pervasivo e ineccepibile di Blood Simple. Sangue facile stemperato poi nel colore e nella sperimentazione più spassosa di Arizona Junior i fratelli Coen tornano a lavorare sul genere questa volta confrontandosi (in maniera forse troppo accademica e referenziale) con l’hard boiled. In quest’occasione Joel e Ethan si presentano al grande pubblico con una lunga pellicola che riedita (con incursioni postmoderne, come l’amore omosessuale fra alcuni dei gangster protagonisti) il macrocosmo della malavita durante il Proibizionismo: Miller’s Crossing - Crocevia della morte. I fratelli Coen costruiscono qui un’architettura narrativa assai complessa (che pare li mise in seria difficioltà già durante la stesura della sceneggiatura) con costumi e scenografie all’insegna della precisione e del dettaglio, ma che sembra voler in parte rientrare nei ranghi del genere dopo Arizona Junior
È già pienamente presente in Miller’s Crossing - Crocevia della morte la scelta di quello che possiamo definire «simbolismo circolare» (arriveranno poi l’hula-hoop di Mister Hula Hoop il cerchione della ruota in bianco e nero de L’uomo che non c’era) qui rappresentato dall’immagine che apre e chiude la pellicola: un borsalino che rotola via spinto dal vento appena sopra un tappeto di foglie ruggine del Miller’s Crossing: il bosco dove avviene l’epifania del protagonista Tom Reagan.

Nelle avventure di Tom troviamo già l’anticipazione di quelli che saranno i paesaggi narrativi di Fratello, dove sei? fatti di parossismi, scazzottate, dialoghi serratissimi e surreali, come quelli che interessano il capo della polizia intento a dissertare con Tom su quale gangster fra Leo l’irlandese e Giovanni Casparro il napoletano sia migliore alla guida degli affari cittadini.

In definitiva Miller's Crossing - Crocevia della morte è una pellicola che seppur assai autoreferenziale e meno godibile delle precedenti riserva allo spettatore momenti di grande divertimento e pathos, grazie anche alla magistrale interpretazione di John Turturro nei panni del mellifluo Bernie Bernbaum.


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