domenica 9 febbraio 2014

I vagabondi del Dharma di Jack Kerouac (1958)

I vagabondi del Dharma
Se Sulla strada (1957) rappresenta il volto di una nuova, giovane, generazione, figlia della piccola borghesia statunitense, in fuga dalla pervadente phoniness (falsità/ipocrisia) della società dei consumi, I vagabondi del Dharma, uscito un anno dopo, è la naturale continuazione del percorso intrapreso da Jack Kerouac, con la fisiologica presa di distanza dalla scena generazionale che lo stesso autore aveva contribuito a creare. Ne I vagabondi la visione si fa più malinconica, personale, certamente più ispirata. La ricerca della «visione di potere della solitudine», il confronto ad alto contenuto emozionale con la bellezza sovrastante e impermanente della natura producono pagine di straordinaria bellezza (letteralmente mozza fiato). Tutto ciò nel viaggio di Ray Smith, dal campus liberale di Berkeley (dove scorgiamo i volti di Allen Ginsberg, Philip Whalen e di altri esponenti del San Francisco Renaissance), fino alla corsa forsennata e surreale giù dai monti del Matterhorn Peak, e ancora il ritorno a casa nell’inverno della Carolina e la conclusione sul Desolation Peak (non prima che un certo battello sia partito per il Giappone…) per l’ultima, immane, visione finale.

Gary Snyder
Il poeta Gary Snyder che ne I vagabondi sta dietro
il personaggio di Japhy Ryder. 
Ne I vagabondi del Dharma come in Sulla strada l’autobiografia si mescola alla finzione letteraria ma, a differenza del manifesto della controcultura beat, raggiunge un livello di bellezza narrativa maggiore, più sincera, immaginifica nelle visioni surreali, a volte sovrastanti e commoventi a volte spassose e divertenti. Ray Smith, pur non mollando mai la bottiglia, ha raggiunto il punto di saturazione del bagordare, lo vediamo spesso allontanarsi al culmine delle feste per piazzare il sacco a pelo in giardino e guardare le stelle o chiacchierare ai margini del cerchio magico del divertimento con un nuovo amico bhikkhu. La rottura con il perbenismo e il conformismo mortale della società contemporanea è già avvenuto, Kerouac sa che il prossimo passo da fare è la ricerca di una comunione solitaria con l’elemento naturale. In questo è centrale la figura di Japhy Ryder (dietro cui Kerouac cela l’amico e poeta Gary Snyder) che guida Ray alla ricerca di un contatto superiore, un confronto diretto e genuino con la maestosità della natura, l’allontanamento totale dall'elemento umano (rintracciabile, per esempio, nella reazione di Japhy alla proposta di Ray di mangiare in un buon ristorante tradizionale). Japhy e Ray, sono «vagabondi del Dharma», emuli dei «pazzi zen orientali», insegnano a una nuova generazione di ragazzi a prendere il proprio zaino, riempirlo dell’essenziale, e partire in solitudine alla ricerca della rivelazione nella natura.

I vagabondi del Dharma è pervaso da questa ricerca della solitudine e dall'esito ottenuto dal confronto con essa. Un’operazione narrativa di grande bellezza, Nonostante l’avversione delle istituzioni benpensanti alla sua uscita (che lo accusarono di nichilismo, istigazione alla nullafacenza e all’alcolismo) è da sempre di grande ispirazione per nuove generazioni da bhikkhus alla ricerca della vera rivelazione zen. 

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