La selezione dei racconti di Maneggiare con cura è un saggio esaustivo della visione narrativa
di Joe R. Lansdale, della sua eccezionale capacità di assimilare e rimaneggiare
modelli, stili, generi e registri linguistici. In questo senso Lansdale è un artista Avant-Pop, cosciente che non
sono più solo le risorse tradizionali (il mito, i classici, la bibbia, la
musica e la letteratura) a fornire al pubblico immagini-chiave, personaggi,
metafore e archetipi narrativi, bensì sono le risorse della cultura popolare a
fornire punti di riferimento, a «spiegare chi siamo, che cosa vogliamo
o di cosa abbiamo paura e come ci vediamo proiettati nel mondo»
(Larry McCaffery). Nella preziosa postfazione di Luca Briasco e Mattia
Carratello sono individuati con precisione quali siano i modelli di riferimento
dello scrittore texano. Vale la pena riportarli «In primo luogo Mark Twain, per
più di una ragione: una vis comica
sempre venata di cattiveria e di anarchismo; la dimensione totalmente orale del
linguaggio e dello stile; la scelta di un regionalismo che non rinuncia a
proporsi come universale. Poi Ambrose Bierce, per la contaminazione tra livello
realistico e fantastico e per la controllata amarezza dello sguardo gettato
sugli orrori di un mondo in costante conflitto. E gli anni Trenta e la
Depressione di James Cain e di Erskine Caldwell, popolati da poveri “bianchi”
sbandati e incattiviti, quasi naturalisticamente condannati prima ancora di
vivere. E ancora la tradizione del gotico sudista, da Faulkner a Flannery
O’Connor fino a Cormac McCarthy, nella messa in scena del corpo a corpo tra
bellezza e depravazione, tra civiltà e barbarie, tra natura e cultura, tra
bianco e nero. I grandi maestri della scrittura di genere, infine, capaci di
traslare questa letteratura in uno strumento privilegiato di analisi e di
visione: da Robert Bloch a Richard Matheson, da Ray Bradbury a Jim Thompson.».
Credo sia doveroso aggiungere H. P. Lovecraft che su quasi ciascuno di questi
autori allunga la sua ombra.
Joe R. Lansdale: passione per il drive-in |
L’iperrealtà multidimensionale nei racconti di
Lansdale è costituita da gotiche e impermeabili comunità sudiste che vivono di
combattimenti fra cani e fra uomini, di razzismo manifesto, necrofilia, snuff movie visti come filmini privati
mentre si divora junk food come in L’arena,
La notte che si persero il film
dell’orrore e Una serata al drive in,
di vita suburbana ribaltata (ormai lo sappiamo: l’unico modo per sopravvivervi)
come in Un signor giardiniere, di
lavoro alienato sublimato da esperienze lisergiche come in La notte dei pesci, universi prettamente situazionisti come il
centro di rehab per mostri della cultura horror in cui Godzilla e King Kong si
avviano sul viale del tramonto o il feticismo alla deriva de La bambola gonfiabile: una favola o
ancora il setting action à la Mad Max
de Nel deserto delle Cadillac, con i
morti e il far west contaminato con l’estetica jap de i treni che non abbiamo preso per arrivare all’apocalittica e
dolorosa visione di Piccole suture sulla
schiena di un morto.
Chiudono il volume due saggi: uno sul cinema horror
di serie B, l’altro sulla mitologia del drive-in (per il quale Lansdale ha una
vera e propria venerazione, ricordiamo il leggendario ciclo del Drive-in pubblicato in Italia da Einaudi).
Nel programmatico Eccitarsi per l’horror:
emozioni a basso costo Lansdale ci insegna a discernere tra i film di serie
B e a coglierne il valore rappresentativo e metaforico; ne L’inferno visto dal parabrezza egli cita nientemeno che la figura
mitica di Joe Bob Briggs.
Consiglio il recupero di questo volume agli amanti di
Lansdale (moltissimi in Italia) e agli appassionati di un certo modo di fare
letteratura alla deriva, sperando che
Fanucci Editore decida di approntarne presto una ristampa, chissà, magari in
e-book.
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