Quante
parole si sono spese sullo splatter!
Su quella che per tutti gli anni Novanta è stata «l’estetica dello schizzo di
sangue». Una tendenza che inizialmente portò alla riscoperta di tutta una
costellazione di pellicole sepolte nei meandri della «seconda scelta» finendo,
poi, per ripiegarsi su se stessa, creando fenomeni sempre più imbarazzanti e
desolanti. Oggi, horror, splatter, exploitation e fantascienza rivivono
grazie a nuova linfa che giovani autori (spesso sotto l’egida dei vecchi numi tutelari)
sanno instillare con dedizione e capacità. Un fortunato esempio di questa
tendenza è costituito dal trentacinquenne Alexandre Aja che dieci anni fa portava sullo schermo il suo Alta tensione, più che un
omaggio al genere slasher, una sua nuova
e felice incarnazione, in grado di ottenere successo di pubblico e critica, arrivando
a colpire anche Wes Craven (che chiamerà il giovane regista francese per
dirigere il remake de Le colline hanno
gli occhi).
L’operazione
di Alexandre Aja è raffinata e complessa tanto quanto il risultato sullo
schermo è immediato e scorrevole. Aja innesta su una parte del plot di Intensity, romanzo di Dean
Koontz, le prerogative di uno slasher:
oltre all’immancabile bodycount, e a un
orribile e mefistofelico assassino che, lento e inesorabile, assottiglia il
numero dei personaggi, il sesso (che nello slasher
anni Settanta era il «peccato originale», lo spauracchio sempre più psichico
che innescava la violenza) e un’agnizione finale che lo rende indimenticabile.
Il
talento di Aja sta nel non approfondire il passato di Marie, nel non
contrapporre alcun trauma all’idillio familiare dell’amica Aléx. L’escamotage
sostiene la finzione cinematografica dall’evocazione dell’assassino - che
avviene, non a caso, durante una masturbazione, ricordiamo lo spauracchio! - per
tutta la durata del film, fino all’agghiacciante scoperta finale. È
interessante come Aja prenda gli stilemi dello slasher – che in centinaia di pellicole è coagulato in regole
ferree – rielaborandole e adattandole alla sua storia. Si pensi al bodycount, che qui non riguarda un
gruppo di adolescenti pruriginosi in calzoncini corti ma una famiglia, tra cui
un paffuto bambino finito con un colpo di fucile mentre tenta di nascondersi in
un campo di granturco (quel mare verde e cupo di piante che è tòpos orrorifico mutuato dal gotico americano). Le morti sono girate con maestria sopraffina, attraverso scelte
sfiziose (riguardanti, tra le atre cose, l’uso del mobilio) e che non mancano
di citare Reazione a catena di Mario
Bava e I corpi presentano tracce di
violenza carnale di Sergio Martino. Soluzioni valorizzate, nel loro aspetto
gore, dal lavoro sopraffino sugli
effetti speciali di Giannetto De Rossi
(storico collaboratore di Lucio Fulci) che, anche qui, crea delle vere e
proprie opere d’arte sul corpo degli
attori.
Last but not least bisogna rilevare il talento di Cécile de France, che consegna al
genere un personaggio assai interessante come Marie, tensivo, fisico e
disturbante. Personaggio da annoverare a tutti gli effetti fra i genitori delle
ragazze di Deathproof. A prova di morte.
In
definitiva Alta tensione è l’ottima
prova di un regista che iniziamo davvero ad amare, soprattutto dopo la produzione e la sceneggiatura del delizioso remake di Maniac
con un agghiacciante Elijah Wood e il recente Horns che celebra la metamorfosi sexy weird dell'ex maghetto di Hogwarts Daniel Radcliffe.
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