sabato 29 novembre 2014

Cronenberg nella Hollywood Babilonia: Map to the stars (2014)


«Abbiamo tutti la forza di sopportare le disgrazie altrui» François de La Rochefoucauld.

È arrivato anche per David Cronenberg il momento di affrontare il proprio viaggio nella «Hollywood Babilonia», la cui mappa sozza di sangue brillante Kenneth Anger ha tracciato nei suoi due monumentali volumi, usciti rispettivamente nel 1959 e 1984. Una mappa che molti hanno percorso, dal David Lynch di Mulholland Drive allo Steve Erickson di Zeroville (presto sugli schermi grazie all’impegno del nostro Jimbo) e che Cronenberg affronta con gli strumenti che lui stesso ha forgiato (come Beverly con gli utensili ginecologici per donne mutanti in Inseparabili). L’approccio junghiano, la mutazione, l’onirismo, la malattia, la rappresentazione dei complessi familiari: «strumenti» che si commissionano tra di loro, dando origine a nuovi e sempre più reali modi di rappresentare la mostruosità di cui è capace l’umano.
Dopo anni di girato in Canada Cronenberg, proprio con Map to the stars, approda in suolo statunitense e affronta la Grande Babilonia di cartapesta. La sua camera si semina fra i bassi edifici e le larghe strade del distretto hollywoodiano, dal Sunset Boulevard alle colline di Beverly Hills, per seguire i suoi protagonisti: creature ferine, fragili e perseguitate. L’occhio di Cronenberg segue la scrittura intrisa di humour nero di Bruce Wagner (che nell’attesa di completare il film ha dato alle stampe un romanzo Dead Stars, che supera i confini del girato) e ci offre questa gelida e disturbante visione di una «fantasmata cosciente» e collettiva. L’attrice Havana Segrand (una livida e meravigliosa Julianne Moore), avviluppata nel complesso di Elettra nei confronti della propria «mammina cara», la «piccola canaglia» Benjie Weiss (Evan Bird), i suoi genitori uniti da un atavico tabù e (ovviamente) dal denaro Christina (una spigolosa Olivia Williams) e Stafford (John Cusack, spaventevole e bravissimo come sempre), la folle di catena Agatha (nel nostro cuore ora e sempre Mia Wasikowska) e l’aspirante attore e autista di limousine (c’è bisogno di dirlo? Robert Pattinson, già protagonista di Cosmopolis), tutti sono ossessionati dal proprio «teatro privato» in cui si agitano complessi, paure, innominabili colpe, splendide e perturbanti visioni della propria coscienza, ironiche rappresentazioni del sé.
Siamo a Hollywood, «la città degli orpelli» in cui la lotta per la fama e per il denaro è così frustrante e sanguinosa che è naturale sviluppare psicosi e traumi, liberi di sfociare in sogni a occhi aperti, allucinazioni ben più sincere della realtà, in cui i nostri eroi si confrontano con reconditi desideri e turpi paure.
Mentre Agatha e Benjie sciorinano i versi di Liberté di Paul Éluard, in una forma d’ipnosi surrealista si consuma la tragedia, l’ennesima rappresentazione del dolore (degli altri) all’ombra dell’immane e imperitura scritta «HOLLYWOOD». Un rosario di eventi che illumina di fiamma il percorso nella mappa di Cronenberg: accompagnati da splendidi fantasmi inconsci raggiungeremo le ville sulle colline in cui bruciare vivi o essere colpiti a morte dalla vendetta in guanti di pelle, ritorneremo poi alle pendici della scritta per l’ultima, grande, rappresentazione del sé. Un matrimonio, un suicidio rituale, un finale tragico che vi brucerà e consumerà come le stelle che avete sempre desiderato raggiungere. 

2 commenti:

  1. un film forse non riuscitissimo al 100%, però allo stesso tempo ricco di fascino.
    per me un cronenberg più che promosso!

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    1. L'ho amato molto Marco! Era un passaggio da compiere quello di Cronenberg nella Hollywood Babilonia e l'ha fatto ambientandovi tutte le suggestioni della sua poetica.

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