Le strutture
asciutte e metafisiche di un campus tutto in notturna accolgono l’arrivo di nuovi
giovani eroi. Come nella migliore epica sono introdotti da una visione onirica, un
sogno tumido e disturbante che sappiamo già contenere tutta la narrazione che
Gregg Araki ha in serbo per noi. Sì, perché anche in Kaboom (pellicola vincitrice
della Queer Palm al Festival di Cannes nel 2010) l’apertura ha i contorni
sfumati della zona liminale tra veglia e sonno, un momento in cui i sensi in
parte obnubilati sembrano sviluppare sensazioni più vivide e acute. Questo succede
al diciottenne Smith (Thomas Dekker
che eredita il ruolo di eroe timido, sexy e disorientato che fu di James Duval
nella Teenage Apocalypse Trilogy), appena
arrivato al campus per studiare cinematografia - «Ho sempre desiderato studiare
cinema. Anche se risulta un po’ anacronistico, dal momento che ignoriamo se il
cinema così come lo conosciamo continuerà a esistere in futuro» - insieme all’amica
Stella (Haley Bennett, stupenda). In Kaboom
Araki ricostruisce ancora una volta la cellula totipotente dell’unica
famiglia possibile, quella componibile e di matrice amicale qui ritratta nell’esplosivo
momento del risveglio sessuale.
Smith
sogna il sesso con il suo compagno di stanza (un surfista di nome Thor «come il
fumetto!» direbbe questi, grattandosi le palle), desidera una relazione
romantica col tenero Oliver (Brennan Mejia, una versione arakiana del Ninetto
Davoli di Pasolini) e sperimenta, dalla spiaggia per nudisti all’incontro con
quel folletto intelligente e maturo di London (Juno Temple, adorabile e
bravissima come sempre). Stella, invece, si lancia in una relazione con la
strega nera Lorelai (Roxane Mesquida, senza dubbio l’erede di Eva Green)
regalandoci momenti di puro disagio e divertimento (provate voi a lasciare una
folle di catena con poteri sovrannaturali).