mercoledì 4 gennaio 2012

Velluto Blu di David Lynch (1986)

Cos'è un drappeggio di velluto se non un continuo celarsi e disvelarsi di porzioni di tessuto a seconda della luce che lo colpisce?
Questa la riflessione principale che potrebbe balenarvi in mente non prima che si chiuda il cerchio, perfetto e surreale, di quel capolavoro che è Velluto Blu. La quarta pellicola di David Lynch è un'opera magistrale e senza tempo. Molti stilemi e temi ricorrenti (tra i quali proprio le teatrali tende di velluto) torneranno nelle pellicole e nei lavori successivi di Lynch (Cuore selvaggio, Twin Peaks) ma il ricordo più vivido di Velluto blu è la luce: uno strumento essenziale per la narrazione e lo svolgimento degli eventi. Sia essa radente, lambita dalle ombre, elettrica,  proveniente da una buia e mefitica candela, la luce trasfigura, evidenzia, cela, in breve racconta.
Lynch imbastisce su quella che è a tutti gli effetti una cornice noir una trama straniante e metaforica. Vi ritroviamo tutte le caratteristiche del genere noir: la femme fatale Dorothy Vallens, “corporale” e proibito spirito materno, Frank Booth l’agghiacciante antagonista interpretato da Dennis Hopper, e ovviamente l’eroe, Jeffrey Beaumont (un giovanissimo Kyle McLachlan), diviso in maniera “polare” fra la notte, fatta di sesso, violenza e orrore, e il giorno fatto di apparente semplicità (compreso l’interno familiare) nonché teatro di posa per la relazione con Sandy (Laura Dern).
Lynch muove presto dall'amato genere noir per tirar fuori i suoi “giocattoli nascosti”: grottesche metafore e una serie di suggestioni costruite attraverso l'utilizzo della fotografia, della regia e della colonna sonora. Il voyeurismo è un importante tema ricorrente: i nascondigli di Jeffrey (principalmente l’armadio di Dorothy) rappresentano il terreno di transizione tra la maturità (sessuale) e l'adolescenza. Un luogo insicuro ma ideale per spiare i rituali più ripugnanti e desiderabili dell'età adulta. Molti amano soffermarsi su un’interpretazione di genere della pellicola, essi vedono in Dorothy l’immagine della madre disvelata e profanata dal sovrastare di Frank quale uomo-prevaricatore e violento. Io credo sia un’interpretazione troppo semplicistica per le performance di Isabella Rossellini e Dennis Hopper, che nella sola scena della violenza nell'appartamento di Dorothy inscenano una “polifonia” di voci legate alla famiglia. Nell'atto sessuale, incompiuto e destrutturato, non c’è esclusivamente sadismo nei confronti del martoriato corpo femminile ma vi si ritrovano tutti gli attori della realtà familiare (daddy, baby e naturalmente mom) come figure sovrapposte e sinergiche.

In definitiva Velluto blu è una pellicola essenziale non solo per la comprensione di tanto lavoro a venire di Lynch ma sopratutto per la carica rivoluzionaria di cui è foriera, apripista di un nuovo, eversivo, linguaggio cinematografico.

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