Perché Mirror Mirror?
Meglio: perché Mirror Mirror in
questo modo? La pellicola di Tarsem Singh, era stato annunciato, è una commedia e già qui il dubbio aveva
cominciato a farsi strada. Insomma perché il regista di gioielli stranianti e arty come The Cell e The Fall, il regista che da poco era tornato con
il godibile e stupefacente Immortals,
ha deciso di lavorare in questo modo? Perché cimentartsi con un progetto che potenzialmente poteva essere la chance ideale per rappresentare il
lato luminoso (oserei dire accecante)
della sua visione spettacolare? Che cosa può essere andato storto?
Vediamo.
Il cast ha lavorato
egregiamente: Julia Roberts è una perfetta Regina Cattiva da commedia, sia
detto l’amiamo da subito, le sue pause esasperate e la mimica celante la vera
(misera) natura del personaggio meritano più di un plauso (da non perdere poi il
suo particolare trattamento di bellezza prima del ballo). Lily Collins è una
perfetta, nivea, Biancaneve-suffragetta. Fragile e ignara nel castello quanto
agguerrita e determinata insieme ai sette nani, qui banditi su deliziosi
trampoli a pressione. Armie Hammer è un ottimo principe cicisbeo dalla comicità
slapstick. I meravigliosi costumi
sono frutto dell’ultima ricerca fatta dalla mitologica Eiko Ishioka (morta subito dopo la realizzazione di questa
pellicola), già collaboratrice storica di Tarsem e creatrice dei sontuosi
costumi del Dracula di Bram Stoker di
Francis Ford Coppola (con cui per la cronaca vinse l'Oscar). Ishioka realizza dei costumi-allegorie in cui si
ritrovano motivi derivati sia dall'illustrazione editoriale classica ottocentesca sia dall’iconografia
tradizione indiana. Il tocco d’eccezione è dato dall’esasperazione di alcuni
elementi (come il fiocco, le orecchie di leprotto, i cappelli rococò), in
perfetto tono con l’atmosfera comedy e cartoon voluta dal regista.
Allora cosa non ha funzionato?
Tarsem Singh |
Essenzialmente il freno che
Tarsem ha messo alla sua capacità inventiva e immaginifica. In Mirror Mirror non ci sono spettacolari
scenari digitali, non c’è regia action e roboante. C’è solo la sintesi, il
sunto, dei tableau surreali che
amiamo nei suoi film. Dei paesaggi, degli ambienti interni ed esterni che
avrebbero potuto mandarci in brodo di giuggiole non rimangono che pallidi e non
classificabili tentativi. Anche la stessa commistione tra oriente e occidente -
che solo il regista di Immortals
avrebbe potuto portare sullo schermo in un’occasione quanto mai propizia come
quella della riduzione di una fiaba – rimane incompiuta, deludendoci
enormemente.
Se la prima parte è retta sulla performance di Julia Roberts, la
seconda è lunga, noiosa (i nanetti da blockbuster no Tarsem! NO!) e mostra il
fianco nell’attitudine comedy che non sembra appartenergli. Unico momento in
cui riconosciamo il tocco del regista è nell’universo carrolliano dietro lo
specchio, metafisico, cupo, freudiano e femmineo: la regina sorge dalle acque
per recarsi in una capanna d’ebano in cui dialogare col suo doppelgänger. Ah,
dimenticavo la meravigliosa appendice sui titoli di coda in cui Biancaneve e il
resto del cast si esibiscono, in perfetto stile Bollywood, sulle note di I believe in love. Peccato che Tarsem
abbia riservato l’unico guizzo creativo a un momento “esterno” come questo.
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