Spider - pellicola del 2002 firmata da David Cronenberg - rappresenta forse più delle altre prove del regista la matrice Avant-Pop della sua poetica. Nella scarnificata e complessa messa in scena delle vicende di Dennis “Spider” Cleg ritroviamo il desiderio di «affrontare la nostra mostruosa deformazione e di trovare modalità selvagge e avventurose di amarla per quello che è» di cui parla Mark Amerika nel suo Manifesto Avant-Pop. Nel film Spider - proprio come un personaggio beckettiano - arriva da un non-luogo (la stazione: luogo anonimo e stereotipato, privo di storicità e frequentato da gruppi di persone freneticamente in transito) per ritornare nei gelidi sobborghi di Londra dove ha passato l'infanzia in modo da ricostruire le dolorose vicende che l’hanno connotata. La memoria, si sa, è uno specchio ossidato (come quelli mostrati da Cronenberg durante i titoli di testa) o un sistema di corde sottili e sfilacciate come quelli costruiti dal piccolo Spider: quasi una rappresentazione del sistema nervoso, della sua complessità e fragilità (sappiamo ad esempio che i neuroni non possono rigenerarsi, che la guaina mielinica che protegge gli assoni può irrimediabilmente deteriorarsi) e della sua oscura capacità di percezione e rielaborazione.
In Spider i piani temporali si incontrano e si osservano per riconoscersi: Spider segue e ripercorre i movimenti del piccolo e solitario se stesso nella sua ossessione per la madre, trasfigurata da angelo del focolare a puttana e poi a vittima. Cronenberg sembra aver fatto propria la visione di Ernst Bloch e James Hillman che occupandosi del Complesso di Edipo ne hanno proposto il superamento auspicando una fusione fra le caratteristiche filiali (Puer) e quelle paterne (Senex), «una trasformazione del conflitto tra estremi in unione di uguali» dove l’azione reale viene trasfigurata e passa dalle mani innocenti del bambino a quelle sozze e corrotte del padre, visto dal piccolo Spider come fornicatore e corruttore della figura-angelo materna. Spider non sarebbe stato possibile senza le magistrali interpretazioni - apprezzatissime in Francia ma pressoché ignorate qui da noi - di Ralph Fiennes nel ruolo di Spider e Miranda Richardson in quelli della madre. Il primo attraverso una disperata e franta espressione linguistica e mimica rappresenta in maniera eccezionale il percorso compiuto da Spider nella propria scellerata ri-costruzione schizofrenica, la seconda sconvolge per la capacità di scindere la personalità della madre di Spider in più ruoli, tutti estremamente materiali: mesta madre di famiglia, puttana, direttrice della pensione in cui Spider va a vivere da adulto.
Non per ultima la rappresentazione delle sovrastrutture sociali e tecnologiche che fanno di Spider il fratello mutante di Eraserhead (non per niente Mark Amerika nel suo Manifesto cita Lynch e Cronenberg insieme): gli abiti, il lavoro, l’ordine, la casa sono qui il paradigma dell’alienazione. La prigionia visiva del gasdotto di fronte alla pensione cattura e incarcera - con la sua struttura metallica - Spider mettendolo alle strette e inesorabilmente di fronte alla sua ferina natura.
In definitiva una pellicola eccezionale, da riscoprire in particolar modo qui in Italia per comprendere quante e quali siano le capacità immaginifiche dell’arte cinematografica.
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