sabato 10 novembre 2012

Un raffinato libro sul cattivo gusto: Shock di John Waters (1981)


Signore e signori benvenuti a Baltimora, Maryland. Datevi un’occhiata in giro, la città vanta le acconciature più vertiginose, la gente più strana che potreste incontrare e un sano, elevato, numero di crimini! Prego, lor signori, venite a prendere l’unica guida che vale la pena di consultare della città, Shock del nostro amato John Waters. Oh, fate attenzione ai ratti lì vicino al bancone!  La signora Mac, la nostra «regina dei ratti» deve ancora passare per la disinfestazione annuale.
Sì, amici prendiamo la nostra copia di Shock (in traduzione italiana la si trova per Edizioni Lindau, con una deliziosa prefazione di Vito Zagarrio), a metà fra autobiografia, manuale how-to (su come coltivare, per esempio, la propria passione per i delitti più macabri e i relativi processi mediatici), guida nell'immaginario della città di Baltimora e ode ai propri miti (Russ Meyer e Herschell Gordon Lewis). Il regista incoronato «re del vomito» (la cui fenomenologia Waters ricollega direttamente a Bergman) e del cattivo gusto, dimostra qui le sue eccellenti doti di scrittore. Brillante, elegante e diretta, la scrittura di Waters ci introduce alla sua personale visione, cinematografica e sociale. Pare che sua madre dopo aver letto la bozza di Shock (titolo originale Shock Value. A Tasteful Book About Bad Taste) abbia esclamato «Sapevo che avevi dei problemi da ragazzo ma non avevo idea che fossero così gravi». Noi invece si va in brodo di giuggiole a leggere la genesi dei Dreamlanders, la terribile gang con cui Waters realizzò le sue prime, ormai leggendarie pellicole. Il rapporto con la faccia d’angelo Mary Vivian Pearce (per gli amici Bonnie), la terribile ed elegantissima Maelcum Soul, Mink Stole (a cui Waters riconosce, fra tutti, le doti migliori nella recitazione), lo straniante David Lochary la cui morte segnerà il percorso dei Dreamlanders, e lei «la donna più bella del mondo», Divine che Waters racconta senza filtri, dalle vessazioni cui era costretto da adolescente, ai lussuosi party organizzati a spese di sgomenti genitori, fino all'acclamazione dell’icona underground (poi mainstream) con il volto creato ad hoc da Van Smith. Waters racconta, sorridendo sotto i baffetti à la Douglas Fairbanks, di come la condizione borghese e suburbana della sua famiglia (come si fa a non amare genitori simili, tratteggiati in modo così eccellente da John Waters?) abbia generato in lui sin da piccolo l’impulso verso il ribaltamento totale, dapprima estetico, poi sociale. Waters, serafico, dichiara che tutti da giovani devono compiere qualcosa al di fuori della legge (badate bene, DA GIOVANI), azioni che rappresentano le tappe di un sano percorso di vita. Un percorso che è quello di Waters stesso e dei Dreamland, dai corti alle prime sconvolgenti pellicole (qui raccontate in preziosi e imperdibili behind the scenes), Mondo Trasho, Multiple Maniacs, senza dialoghi sincronizzati ma con meravigliose colonne sonore rock’n roll, Pink Flamingos, definito dallo stesso regista come un punto di non ritorno, Female Trouble, un vero manifesto estetico (l’immagine serigrafata di Divine con il taglio alla moicana finì dritta dritta sulle t-shirt dei punk londinesi) e Desperate Living in cui Waters coinvolse la strabordante Liz Renay.


Imperdibili per comprendere appieno tutti i dettagli dell’immaginario watersiano i capitoli dedicati a Baltimora e le due interviste a Russ Meyer e Herschell Gordon Lewis. Nel primo è descritta, con amorevole sguardo, la fauna che popola la città, donne che esibiscono acconciature “alveari” sempre più elaborate, bariste stripper, i camionisti, le lesbiche e i trans non operati che bazzicano i locali giù al porto (che ritroveremo in Pecker), i frequentatori dei cinema di serie B e porno (state pensando a A morte Hollywood nevvero?), la signora Pat della copisteria che si cotona i capelli «come un albero di Natale», Mac la signora dei ratti e tutti quei «grandi eccentrici» che fanno di una città un posto che deve avere qualcosa che valga la pena di vedere. Nelle interviste Waters invece dichiara tutto il suo amore per i midnight movies ultracamp di Russ Meyer (qui intervistato insieme alla sua amante pettoruta Kitten Natividad), in particolare nei confronti di Faster Pussycat! Kill! Kill! e di Tura Satana, e la grande riverenza nei confronti di Herschell Gordon Lewis, antesignano re del gore.

Infine è bene ricordare che il volume è arricchito da ritratti, immagini e rarità fotografiche che completano l’introduzione all’immaginario scellerato, camp e suburbano di John Waters.


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