Signore e signori benvenuti a
Baltimora, Maryland. Datevi un’occhiata in giro, la città vanta le acconciature
più vertiginose, la gente più strana che potreste incontrare e un sano, elevato,
numero di crimini! Prego, lor signori, venite a prendere l’unica guida che vale
la pena di consultare della città, Shock del nostro amato John Waters. Oh, fate attenzione ai
ratti lì vicino al bancone! La signora
Mac, la nostra «regina dei ratti» deve ancora passare per la
disinfestazione annuale.
Sì, amici prendiamo la nostra
copia di Shock (in traduzione
italiana la si trova per Edizioni Lindau, con una deliziosa prefazione di Vito Zagarrio), a metà fra autobiografia, manuale how-to (su come coltivare, per esempio, la propria passione per i
delitti più macabri e i relativi processi mediatici), guida nell'immaginario
della città di Baltimora e ode ai propri miti (Russ Meyer e Herschell Gordon
Lewis). Il regista incoronato «re del vomito» (la cui fenomenologia Waters
ricollega direttamente a Bergman) e del cattivo gusto, dimostra qui le
sue eccellenti doti di scrittore. Brillante, elegante e diretta, la scrittura
di Waters ci introduce alla sua personale visione, cinematografica e sociale.
Pare che sua madre dopo aver letto la bozza di Shock (titolo originale Shock
Value. A Tasteful Book About Bad
Taste) abbia esclamato «Sapevo che avevi dei problemi da
ragazzo ma non avevo idea che fossero così gravi». Noi invece si va in brodo di
giuggiole a leggere la genesi dei Dreamlanders,
la terribile gang con cui Waters realizzò le sue prime, ormai leggendarie
pellicole. Il rapporto con la faccia d’angelo Mary Vivian Pearce (per gli amici
Bonnie), la terribile ed elegantissima Maelcum Soul, Mink Stole (a cui Waters
riconosce, fra tutti, le doti migliori nella recitazione), lo straniante David
Lochary la cui morte segnerà il percorso dei Dreamlanders, e lei «la
donna più bella del mondo», Divine che
Waters racconta senza filtri, dalle vessazioni cui era costretto da adolescente,
ai lussuosi party organizzati a spese di sgomenti genitori, fino
all'acclamazione dell’icona underground (poi mainstream) con il volto creato ad
hoc da Van Smith. Waters racconta, sorridendo sotto i baffetti à la Douglas Fairbanks, di come la
condizione borghese e suburbana della sua famiglia (come si fa a non amare
genitori simili, tratteggiati in modo così eccellente da John Waters?) abbia
generato in lui sin da piccolo l’impulso verso il ribaltamento totale, dapprima
estetico, poi sociale. Waters, serafico, dichiara che tutti da giovani devono
compiere qualcosa al di fuori della legge (badate bene, DA GIOVANI), azioni che
rappresentano le tappe di un sano percorso di vita. Un percorso che è quello di
Waters stesso e dei Dreamland, dai corti alle prime sconvolgenti pellicole (qui
raccontate in preziosi e imperdibili behind
the scenes), Mondo Trasho, Multiple Maniacs, senza dialoghi sincronizzati ma con meravigliose colonne sonore
rock’n roll, Pink Flamingos, definito
dallo stesso regista come un punto di non ritorno, Female Trouble, un vero manifesto estetico (l’immagine serigrafata
di Divine con il taglio alla moicana finì dritta dritta sulle t-shirt dei punk
londinesi) e Desperate Living in cui
Waters coinvolse la strabordante Liz Renay.
Imperdibili per comprendere
appieno tutti i dettagli dell’immaginario watersiano i capitoli dedicati a
Baltimora e le due interviste a Russ Meyer e Herschell Gordon Lewis. Nel primo
è descritta, con amorevole sguardo, la fauna che popola la città, donne che
esibiscono acconciature “alveari” sempre più elaborate, bariste stripper, i
camionisti, le lesbiche e i trans non operati che bazzicano i locali giù al
porto (che ritroveremo in Pecker), i
frequentatori dei cinema di serie B e porno (state pensando a A morte Hollywood nevvero?), la signora
Pat della copisteria che si cotona i capelli «come un albero di Natale»,
Mac la signora dei ratti e tutti quei «grandi eccentrici»
che fanno di una città un posto che deve avere qualcosa che valga la pena di
vedere. Nelle interviste Waters invece dichiara tutto il suo amore per i
midnight movies ultracamp di Russ Meyer (qui intervistato insieme alla sua
amante pettoruta Kitten Natividad), in particolare nei confronti di Faster Pussycat! Kill! Kill! e di Tura
Satana, e la grande riverenza nei confronti di Herschell Gordon Lewis,
antesignano re del gore.
Infine è bene ricordare che il
volume è arricchito da ritratti, immagini e rarità fotografiche che completano
l’introduzione all’immaginario scellerato, camp e suburbano di John Waters.
Nessun commento:
Posta un commento