Quello cui una serie come Damages deve pensare nella sua incarnazione finale (in questo caso
dieci episodi prodotti da Audience Network) è completare il tratteggio dei suoi
protagonisti e solo in maniera derivativa risolvere l’intreccio. Quest'ultimo
amplificato sufficientemente dal caso di quest’anno dedicato all’hacking e all’informazione ai giorni di
Wikileaks, con protagonista Ryan Phillippe nei panni del disturbato ed egocentrico hacker e guru Channing McClaren. Le ultime due stagioni del serial ci hanno proposto intrecci
narrativi meno complessi (ma non meno avvincenti) puntando maggiormente sulla
costruzione endemica del carattere di Ellen Parsons (Rose Byrne) per opera di
Patty Hewes (Glenn Close). I silenzi, gli sguardi sull’orrore immateriale che
Patty punta spesso di fronte a sé durante la quarta stagione si fanno, ora, sempre
più presenti e ingombranti. Essi annunciano, nell’incertezza affatto simulata,
il timore di Patty nei confronti della realizzazione del bildungsroman scritto per Ellen.
Facciamo un passo indietro. Una
parabola ascendente ha visto Patty astrarsi dalla «terra» - vituperata e vilipesa fino alla fine, nel confronto col padre e col figlio
Michael - per maneggiare l’astrazione delle azioni, della parola e degli
intenti. Un percorso che ha allontanato Patty dal contatto
materiale e che le ha permesso di agire con questi strumenti sulla carne pur
rimanendole lontana. Questo anche quando gli affetti (l’amico fragile Ray Fiske, il
pari Tom Shayes e zio Pete) sono caduti, umiliati e offesi, ai suoi piedi. Non
vi è mai odore di morgue intorno a Patty, eppure dovrebbe esserci, non v’è
neppure contatto salvifico, eppure una bambina è l’unica cosa rimastale di una
famiglia naufragata in tregenda. Patty muove allora l’ultimo passo della
scalata alla realtà non-umana che ha scelto per sé. Lo fa in particolare nello
sguardo e nella parola senza remissione che annichiliscono il padre sul letto
di morte. Da lì, l’attitudine umana e carnale alla maternità diviene a sua volta
un’idea, una prerogativa, possiamo dire un’istanza, che veste agli occhi di
Patty i panni alteri dell’eredità. Ellen è quanto di più vi si sia avvicinato e
Patty deve compiere un’ultima «mossa»
nei confronti della sua protégé (che
non riuscirà mai a percepire se stessa come antagonista) per allontanarla dalle
facezie della sua umanità. Vi riuscirà. L’agnizione finale, come sempre sul molo,
vede Patty impegnata a mostrare l’inutilità ontologica del terreno, della
carne, del «sangue»
che, serafica, segnala sulle mani di entrambe. L’appendice, con
l’incontro (edulcorato) tra le due donne, serve solo a mettere in scena l’ultimo
moto umano di Patty, il dubbio. Lo vediamo attraversare il suo volto prima
dell’ultimo rifiuto, quello della propria casa, in favore del ritorno
nell’empireo lavorativo.
Nessun commento:
Posta un commento