Diciamolo subito, è impossibile,
oltre che sterile, cercare di catalogare le suggestioni che INLAND EMPIRE, l’ultimo capolavoro realizzato da David Lynch nel 2006, ci riserva. Sono esse figlie di un
automatismo onirico atto ad allargare la capacità cognitiva e interpretativa
dell’oggetto cinematografico. Non a caso INLAND
EMPIRE segue il raffinato Mulholland Drive, con cui condivide la cornice metacinematografica (dai contorni
soffusi, sfumati, sempre in penombra), intesa come paradigma del raggiungimento
di universi “altri”, tasselli, schegge, frammenti che inducono lo spettatore ad
abbandonare ancora una volta i rassicuranti concetti di trama e intreccio per
un viaggio “poli-emozionale”, il più delle volte impensabile in una sala
cinematografica.
La pellicola si apre sull'immagine
di una puntina di grammofono su un vinile, una voce (quella dello stesso Lynch)
fa un annuncio in stile radiofonico introducendo i concetti di serialità e
memoria, nonché di riproducibilità dell’opera massmediale. Non ci sorprende poi
l’ouverture europea con i volti edulcorati che vede una prostituta senza
memoria insieme a un uomo. La prostituta è una figura psicoantropologica (che,
come ci insegna Benjamin, insieme al dandy e al flaneur rappresenta e descrive
la modernità) fragile, esposta e sottomessa. «A woman in trouble» recita il
sottotitolo originale, diventando interfaccia della rappresentazione del
femminile, dilaniato da appetiti ferini, imprigionato, sottomesso nei lascivi
ed eleganti frammenti polacchi piuttosto che nell'ambiente familiare suburbano
e decisamente orrorifico (potrebbe essere altrimenti?). È inoltre chiaro sin da
subito che INLAND EMPIRE si pone come
perno dell’intera opera lynchiana: i concetti di colpa e segreto che nella
rappresentazione della sitcom dada Rabbits
sembra voler richiamare il dubbio massmediatico «chi ha ucciso Laura Palmer?»;
la presenza di Laura Dern (Velluto Blu,
Cuore Selvaggio), la cui immagine è qui
riprodotta e incarnata in decine di personaggi che si avvicendano sul suo
volto; il concetto di memoria franto e perduto nei meandri della parola (Hotel Room); la dualità speculare
incentrata su una coppia di donne (stilema poetico assai amato da Lynch,
ricordiamo Velluto Blu, Strade Perdute, Mulholland Drive): Laura Dern/Karolina Gruszka, Laura Dern/Julia Ormond; persino l’antesignano (nei confronti di questa pellicola)
cortometraggio in digitale Darkened Room.
È evidente qui il desiderio di Lynch di dialogare con la sua stessa opera,
omaggiata persino nel finale réunion
sui titoli di coda. «Bellooo» esclamerà la donna con la gamba
amputata (un altro riferimento al leggendario corto The Amputee?) mentre il pantheon lynchiano si coagula sulle note di
Sinner man di Nina Simone.
Karolina Gruszka è la splendida Lost Girl di INLAND EMPIRE. |
La stessa Laura Dern, scruta, vive il dubbio e il naturale dolore, la
disfatta e la paura attraverso la lente rifrangente della macchina da presa
(ritratta a sua volta come deus ex
machina onnisciente) in una continua messa in scena composita e
disarticolata, amplificata dall’uso di una handycam
digitale (la semiprofessionale Sony PD-150)
che zooma sui volti, stravolgendone i tratti con fare espressionista. Dagli
interni stantii piuttosto che eleganti e “cartonati” agli esterni d’antan (la Polonia degli anni
Cinquanta) piuttosto che contemporanei (l’Hollywood Boulevard), INLAND EMPIRE procede per analogie,
assonanze e dettagli che costruiscono, ancora una volta, una sorta di opera
puntinista che possiamo godere solo se osserviamo alla giusta distanza,
dimenticando il particolare per una suggestiva visione d’insieme. Con INLAND EMPIRE Lynch fa riferimento al «cinema
di ingressi»
che tanto ossessiona un altro nume Avant-Pop, quel David Cronenberg cui Lynch è
associato già nel Manifesto di Mark Amerika. Il cinema di ingressi diviene lo
strumento per inoculare l’insicurezza nello spettatore. I personaggi non
varcano solo delle soglie fisiche, non entrano solo in stanze, ambienti,
vicoli, teatri di posa, cinema, essi attraversano continuamente l'iperrealtà
pluridimensionale che Lynch ha costruito per loro. Un'iperrealtà che non è solo
fisica ma soprattutto temporale. Lynch farà pronunciare a Grace Zabriskie, che
qui veste i panni di una vicina impicciona, il discorso automatico su tempo e
racconto che anticipa a Nikki la perdita di ogni riferimento cui sta andando
incontro. Nikki, interprete attoriale, che da quel momento in poi vedrà se
stessa moltiplicarsi e incarnarsi continuamente.
INLAND
EMPIRE è un’ode al cinematografico, a come esso sia in grado di creare
mitologie e immaginari, alla sua capacità di moltiplicarli e superare i limiti
bidimensionali dello schermo per permeare l’umanità che ha l’ardire di porsi dietro
la camera da presa o di fronte alla mesmerizzazione che riserva lo schermo.
Sappiamo inoltre quanto Lynch ami le narrazioni di grande respiro, con molte
ambientazioni e innumerevoli personaggi, è il motivo per cui si è trovato
perfettamente a suo agio nel progetto Twin Peaks, riprovandoci poi con Mulholland
Drive. INLAND EMPIRE dura ben 180
minuti e ognuno di essi è in grado di servire la storia, ampliarla e ancora una
volta amplificarla secondo la sua natura.
Inland Empire, è qui il luogo d’elezione,
dove la realtà compenetra tutte le finzioni possibili, è il distretto
periferico dove il sangue venoso della realtà scambia con il sangue arterioso
del cinematografico. Nella realtà Inland Empire è una regione attigua a quella
di Los Angeles, decentrata rispetto a essa, limitrofa. Tema questo declinato
anche nella pellicola. Il “limitrofo” e il “periferico” sono già presenti nei
discorsi della vicina di casa a Nikki che andrà a sperimentarli (di nuovo?) nei
minuti successivi.
INLAND EMPIRE è un invito ad abbandonare ogni schematismo “lineare”
legato all’arte cinematografica.
Permettiamoci dunque un’esperienza unica nella dimensione (culturale?
Onirica? Trascendentale?) del maestro David Lynch, dove il dubbio (vero
strumento di libertà intellettuale) la fa da padrone e l’orrore quotidiano si
sprigiona in tutta la sua essenza.
Che dire se non «lasciate
che la vostra mente sia impero».
Lo vidi al cinema anni fa e mi ruppi i coglioni in maniere che la mia mente non è neppure in grado di descrivere. Per 180 minuti. Mi sono letteralmente odiato per la mia incapacità di non uscire da sala cinematografica neppure al cospetto di un film che non voleva essere guardato ma solo girato. Non sono un fan di Lynch ma ad esempio Velluto Blu mi piacque, cosi pure Mulholland Drive anche se non si capiva niente e Strade perdute anche se finiva in maniera da farti ribaltare la televisione.
RispondiEliminaMa INLAND EMPIRE? Uno dei film più spocchiosi che io possa ricordare. Una delle esperienze più avvilenti della mia vita da spettatore. Girata da Dio, ma totalmente inutile.
Scusami ma a me rende nervoso il solo titolo.