Ancor prima delle sperimentazioni pop-ironiche (e per questo assai postmoderne) di Arizona Junior e del programmatico lavoro di straniamento dei (e sui) generi di Mister Hula-Hoop (la screwball comedy), L’uomo che non c’era (il noir) e Fratello, dove sei? (il picaresco), i fratelli Coen si presentarono al pubblico con Blood simple - Sangue facile lungometraggio in cui i due ex studenti della NYU (Joel) e di Princeton (Ethan) decidono sì di partire dal genere (cosa che contraddistinguerà tutta la loro Opera), rimanendovi però all’interno. Il loro talento si esplica nella forma, in particolare nella regia e nella rappresentazione narrativa dei personaggi neo-noir, uno per tutti il sicario repellente e senza scrupoli Visser (M. Emmet Walsh).
Lo stesso Tarantino di Pulp Fiction sembra essere debitore ai Coen che prima di lui lavorarono al recupero di topoi, stilemi, ambientazioni e situazioni del noir e della crime fiction. in Blood simple abbiamo, per esempio, l’occultamento del sangue in macchina (su cui è basato un intero blocco narrativo di Pulp Fiction), le citazioni bibliche e il bar-locale come fulcro e propulsore della vicenda.
I fratelli Coen hanno dimostrato di essere dei registi Avant-Pop duri e puri, in grado di materializzare sullo schermo l’alterazione radicale del «fulcro della Cultura Pop attraverso un genere più popolare di gestualità dark, sexy e sottilmente ironica» (Mark Amerika). In questa prospettiva i Coen lavorano ai margini del genere, immergendo personaggi sdruciti e post-suburbani nelle più venefiche luci al neon, in camere affollate di oggetti su cui regna sovrano il telefono (come in David Lynch) o l’interfono: paradigmi della modernità intesa come corruzione (à la Tolstoj) e foriera di morte, una direzione propulsiva contro cui si scontra lo strenuo e naturale desiderio di restare insieme di Ray e Abby (una giovanissima e già eccezionale Frances McDormand al suo debutto sul grande schermo) braccati dall’ombra ferina del repellente Visser.
Lo stesso Tarantino di Pulp Fiction sembra essere debitore ai Coen che prima di lui lavorarono al recupero di topoi, stilemi, ambientazioni e situazioni del noir e della crime fiction. in Blood simple abbiamo, per esempio, l’occultamento del sangue in macchina (su cui è basato un intero blocco narrativo di Pulp Fiction), le citazioni bibliche e il bar-locale come fulcro e propulsore della vicenda.
I fratelli Coen hanno dimostrato di essere dei registi Avant-Pop duri e puri, in grado di materializzare sullo schermo l’alterazione radicale del «fulcro della Cultura Pop attraverso un genere più popolare di gestualità dark, sexy e sottilmente ironica» (Mark Amerika). In questa prospettiva i Coen lavorano ai margini del genere, immergendo personaggi sdruciti e post-suburbani nelle più venefiche luci al neon, in camere affollate di oggetti su cui regna sovrano il telefono (come in David Lynch) o l’interfono: paradigmi della modernità intesa come corruzione (à la Tolstoj) e foriera di morte, una direzione propulsiva contro cui si scontra lo strenuo e naturale desiderio di restare insieme di Ray e Abby (una giovanissima e già eccezionale Frances McDormand al suo debutto sul grande schermo) braccati dall’ombra ferina del repellente Visser.
Una pellicola di rara bellezza, che contiene già in embrione l’immaginario di lavori successivi dei fratelli Coen quali Fargo e Non è un paese per vecchi.
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