di Gianluca Stirpe
È un
Faust limitato dal corpo quello di
Aleksandr Sokurov. La carne, le necessità della carne strappano il volo dello spirito, per dirla brutalmente è questo l’oggetto narrativo della pellicola. Saltando le innumerevoli recensioni apparse dalla sua uscita nelle sale, sale assai sparute, che hanno sottolineato il genio del regista o la pesantezza della pellicola, in un’opposizione di opinioni agghiacciante per superficialità e polemica gratuita.
Procediamo per gradi.
1. La storia. La pellicola, come indicato nei titoli, è liberamente ispirata all’opera goethiana. Forse più di ogni altra rappresentazione cinematografica esistente, quella di Sokurov, evidenzia l’elemento classico presente nell’opera letteraria. Manca il pathos egotico della colpa, e questo è un punto a favore del film, ed è presente l’ironia, a tratti anche amara, che ha difettato altri tentativi sul tema, fatto salvo però quello di Svankmajer.
La solita diade vita VS morte, è qui allargata con la sorella ignobile conosciuta come fame. Tutti hanno fame, il corpo è affitto da quella punizione quasi divina per chi, distogliendo la sua attenzione dalle questioni pratiche della terra, rincorre una sapienza dello spirito e dell’anima. Il corpo è la zavorra dello spirito, la sua fame, la sua carne, le sue voglie, le sue necessità sono l’ancora dell’uomo. La cacciata dall’Eden non è stata la fatica, il lavoro e il dolore, ma il corpo, l’organo pesante che schiaccia sulla terra.
I personaggi si affollano negli spazi angusti di un'interiorità casalinga, di una cittadella stretta, satura di uomini, donne, animali. Si passa, ci si strofina, ci si schiaccia addirittura. La vita e la morte si scontrano, come nel corteo funebre iniziale.
In quest’amalgama di umani, il Dottor Faust accompagnato dal suo devoto assistente, vive distaccato, preso dalla ricerca e conoscenza del mondo, una specie di altro-mondo, punto di osservazione. Quel pianeta che osserva, è il suo vincolo, è la terra radice del suo corpo, lo stesso che gli impedisce le ascese verso la conoscenza dello spirito e dell’anima. Faust è il dottore che cerca l’anima nella carne, nel fondo terroso dell’humus umano, scava, taglia e affonda nei corpi sul tavolo operatorio, disseziona gli organi in cerca del rifugio dell’anima, inutilmente. Suo padre, sorta di medico arcaico, guaritore delle ossa, con i suoi macchinari, invece che cercare, ripara, sistema e fa funzionare i corpi, ne ritarda la morte, forse. Si tratta di una morte onnipresente, al par della gloria del dio pregato nelle chiese e professato dai preti, risuona nelle pestilenze, nelle spade dei soldati, nei crampi della fame. È un mondo crudele, quanto buffo per la sua semplicità: tanto facile vi si nasce, tanto facile lo si lascia.

E c’è il Diavolo, a mezza via tra la figura del ruffiano e l’illuminato sull'assurdità della vita, un incrocio tanto vitale di consapevolezza da rifuggire ogni scorciatoia nichilista. Un Diavolo felice, non affamato e tanto riverente, dallo spirito sottile come una lama, di chi ha già visto chissà quante volte l’uomo perdersi nei suoi vizi, spendere tutto il proprio tempo inutilmente, ignorando totalmente anche i più rumorosi echi delle ammonizioni senechiane. Il Diavolo è tentatore, ma non nel senso contemporaneo della tentazione dell’anima, quanto del corpo, è un furbo attore da romanzo picaresco, che sollazza il corpo, e di conseguenza lo spirito in esso nascosto. Qui lo spirito dei preti è nascosto in ogni ventricolo della carne, è un suono flebile nel frastuono delle necessità e della sopravvivenza. In fondo questo Diavolo è un manipolato e non manipolatore, quasi un burattino, come nella pellicola di Svankmajer. Il suo è un male ingenuo, che collassa su se stesso, innocuo quando si scontra con il male umano.
È un male quello umano, che si genera e autoalimenta. Circolo vizioso dell’esistenza. La giovane Margarethe è il bocciolo fresco dell’alba, anch'ella destinata alla marcescenza della vita. La giovane è il desiderio che schiaccia di Faust nel mondo, lo affonda nella terra, nella carne. Il desiderio che piano s’insinua nella giovane, è la tomba umida che cancella l’innocenza, è la fine dell’ingenuità. Anche per lei iniziano i sottili inganni e bugie per incontrare il Dottore. La via della loro unione stregata, viziata da una non specifica magia, è di una linearità tale da rendere del tutto naturali i raggiri, gli inganni, e quegli incidenti verso l’incontro carnale.
Dono della pellicola è mostrare come il male non appartiene a entità esterne che insinuano nell'uomo la malvagità, ma è lo stesso male a costituire l’umano. La linfa umana pesca la sua essenza anche dalla radice maligna. Non si salva nessuno, ognuno è maligno, sia esso dottore, mendicante, soldato reso arido dalla fame. Faust è lo studioso affamato di conoscenza, capace di annientare pur di conoscere e procedere nella sua conquista.