Considero Io e te (Einaudi) breve e
meraviglioso oggetto letterario di Niccolò
Ammaniti, un nuovo passo nel percorso à
rebours che muove dallo sguardo fiabesco del piccolo Michele Amitrano (Io non ho paura, 2001), passa per la
metamorfosi conflittuale del tredicenne Cristiano Zena (Come Dio comanda, 2006) e approda a quello nevroromantico di
Lorenzo Cuni (Io e te). Lorenzo è un
quattordicenne romano con problemi di socializzazione. La madre, cui Lorenzo è
estremamente legato (come da manuale), lo trascina da uno psicologo che gli
diagnostica un disturbo narcisistico della personalità. Per alleviare le ansie
materne Lorenzo finge di essere stato invitato da un gruppo di compagni di
classe a una settimana bianca. In realtà il giovane protagonista ha già predisposto
tutto per passare quel periodo in completa solitudine nella cantina del palazzo
dove vive. Cibo, un televisore, la Play Station, fumetti Marvel e tre romanzi
di Stephen King (non a caso maestro del “riazzeramento sociale”) saranno i suoi
unici compagni di ventura.
La prima parte della storia, per
voce di Lorenzo, racconta di come sia arrivato a tale decisione utilizzando
una similitudine biologica (espediente retorico tanto caro ad Ammaniti):
Lorenzo vessato dai compagni di ginnasio ha una catarsi dopo aver visto in
televisione un documentario sugli insetti imitatori, questi riproducono
l’aspetto di specie più aggressive per sfuggire agli attacchi dei predatori. Lorenzo
come «una
mosca travestita da ape» riesce a sopravvivere a scuola ma vuole di più. Vuole dimostrare
all’amata genitrice che è un ragazzo «normale», ecco quindi la menzogna sulla
settimana bianca, pronta ad avvilupparlo senza scampo, giorno dopo giorno, fino
a quando il pensiero di una certa cantina non arriva a salvarlo. L’età
del protagonista e la narrazione in prima persona portano il lettore a
un’immediata identificazione. Identificazione con la solitudine e la malinconia
materica che assedia tutti gli adolescenti, in qualsiasi tempo, a qualunque
latitudine. Lorenzo è un piccolo eroe nevroromantico, lo capiamo già quando
racconta dei suoi giochi infantili, come chiudere la porta e sognare che la stanza
sia un cubo alla deriva nello spazio siderale. Lorenzo non riesce a dare un
nome ai timori e alle sensazioni che ancora oggi, a quattordici anni, lo
perseguitano, materializzandosi sottoforma di immagini che fanno proprie le
lezioni calviniane su leggerezza, rapidità e visibilità. Per esempio, Lorenzo
immagina di essere trattenuto da un enorme gigante di pietra che lo serra a sé
impedendogli qualunque movimento (come durante l’aggressione gratuita alla
madre dopo un tamponamento automobilistico cui il ragazzo assiste inerme),
gigante che nel finale lo lascerà andare nell’aere e volare rapido, leggero e finalmente cosciente.
Nella seconda parte facciamo la
conoscenza (forzata, nessuno doveva sapere del rifugiato in cantina) di Olivia, la sorellastra di Lorenzo,
tenuta lontana dal nucleo familiare borghese della famiglia Cuni per chissà
quale oscuro motivo. Olivia è la controparte panica di Lorenzo, oltre che
bellissima è libera, smaliziata e fragile. Neanche a dirlo, la convivenza
forzata nel tepore amniocentico della cantina, muterà entrambi e regalerà al
lettore altre splendide immagini, come quella finale con i due ragazzi che ballano
e cantano sulle note struggenti di Montagne
verdi, convinti di poter finalmente affrontare il mondo al di fuori della
cantina.
Un piccolo oggetto di grande
valore empatico Io e te, da leggere
tutto d’un fiato sotto le coperte, come farebbe lo stesso Lorenzo, magari prima
di andare al cinema per la trasposizione cinematografica che Bernardo Bertolucci porta in sala proprio
in questi giorni.
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