Immaginate una grigia vita di provincia.
Immaginate una casalinga che ciabatta per casa sistemando soprammobili e portafoto. La cena è in forno e quando il marito, professore di sociologia nella locale Università, tornerà a casa la potrà gustare accompagnata da un buon bicchiere di latte fresco. C’è qualcosa che non va (c'è sempre qualcosa che non va direte voi, cari lettori!), la nostra casalinga è irrequieta, dopo aver riposto l’ultimo piatto nella credenza si avvia in silenzio al carrello dei liquori. Si porta una mano alla fronte e inizia a prepararsi un golden ginger ale. Lo beve tutto d’un fiato per prepararne immediatamente un’altro. Accende la radio, un folle brano jazz riempe il salotto, la nostra casalinga si toglie le pattine e inizia ad ancheggiare sul tappeto. Con il bicchiere in mano si avvia al suo scrittoio, lo poggia da una parte, carica un foglio nella macchina da scrivere e inizia a ticchettare svelta sui tasti. Sono gli anni Cinquanta, la nostra casalinga altri non è che Grace Metalious e il manoscritto in gestazione è la bozza di quello che tutti conosceranno come Peyton Place.
Per due terzi classico e per un terzo icona trashy il romanzo che in Italia troviamo edito da Einaudi è frutto di un lungo e raffinato lavoro di editing e comunicazione, operato non solo sul testo ma anche sulla sua autrice, eletta a personaggio torbido con il titolo di «Pandora in blue jeans», colei che sola e spregiudicata ha voluto spiare e raccontare le torbide e inquietanti storie della provincia americana, fino ad allora rappresentata da eleganti casalinghe, angeli del focolare, succulenti roastbeef e prati perfettamente curati.
Le vicende del romanzo si svolgono nell'immaginaria cittadina di Peyton Place, borgo sovrastato da un inquietante castello in rovina (qualcuno di voi ha appena pensato a Edward mani di forbice, vero?) dalle origini scomode, come dopotutto sono tutte le storie sotterranee che scorrono sotto i vialetti delle case di Peyton Place, fiumi carsici fatti di sesso, violenza, incesto e omicidio. Orrori innominabili perfettamente dissimulati da una allure conservatrice e perbenista.
Abbiamo Allison McKenzie, piccola sognatrice nata da una relazione illegitima, Costance McKenzie l’elegante e sensuale commerciante venuta da New York con un pesante segreto sulle spalle, l’arrogante Leslie Harrington e suo figlio, la zingara Selena Cross, affascinante adolescente in odore di aborto e parricidio, Tomas Makris il giovane e aitante preside greco della scuola di Peyton Place, Matthtew Swain il cinico medico della cittadina, e ancora Norman Page pluriviolentato da una madre castrante. Intorno ad essi si muove tutta una galleria di personaggi provenienti della borghesia bene di Peyton Place, a metà tra la funzione di coro e quella di pubblico, pronti a giudicare e se è il caso condannare il colpevole di turno.
Oggi tutti noi rimaniamo incollati per ore a seguire le vicende di Wisteria Lane, abbiamo trepidato puntata dopo puntata tra i boschi di Twin Peaks insieme all’Agente Speciale Dale Cooper ma credo sia giunto il momento di tornare un po' indietro e visitare finalmente il “borgo natio”, l’archetipo di tutto ciò che verrà e sarà fatto nell'ambito della narrativa di consumo, nel cinema e sopratutto nella serialità televisiva da Dynasty a Melrose Place fino ad arrivare a Six feet under.
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