Ha ragione Andrea “Contenebbia” Bruni quando scrive che con il suo ultimo capolavoro Bastardi senza gloria Quentin Tarantino sta indicandoci la via del “cinema che verrà”. Una strada fatta di impegno e profonda fede nell'immenso potere del cinema (qui la citazione interna, in parte estetica, al cinema di Goebbles non è una coincidenza… ma poi cosa lo è in un film di Tarantino?), di allegoria, di sovversione dei generi e immaginifica ricostruzione attraverso il what if di matrice fumettistica (da Topolino alla Marvel).
Minuziosa l’opera di costruzione operata da Tarantino, brani, quasi dei “bocconi” di informazioni vengono introdotte con mano sapiente per creare un universo alternativo e riconoscibile, pop e ricercato, che va dall'interrogatorio iniziale di Hans Landa (Christoph Waltz) agli scorci parigini che avvolgono la sdrucita ed elegantissima figura di Shosanna (Mélanie Laurent) per arrivare all'ormai consolidato strumento del flashback (celebrato ampiamente in Kill Bill è ormai un vero e proprio stilema del cinema di Tarantino). Anche laddove sono presenti dei “buchi” essi vengono percepiti dallo spettatore come avvertimento dello sconfinato potenziale narrativo della storia (o delle infinite storie): il salto temporale dalla corsa di Shosanna bambina alla sua nuova identità francese o l’introduzione in medias res del personaggio-chiave di Bridget von Hammersmark (Diane Kruger), tratteggiata in poche e materiche pennellate che ne fanno a tutti gli effetti una protagonista centrale. Non bisogna poi dimenticare le contraddizioni, le sembianze ossimoriche (perciò ricche di potenziale immaginifico) di personaggi e contesti in grado di immergere lo spettatore in un mondo alternativo e deliziosamente pop, rendendo il materiale narrativo iconico e incancellabile, vero e proprio elemento capace di entrare di diritto nell'immaginario popolare: “The Bear Jew” (Eli Roth) e la sua mazza da baseball, lo psicopatico quiescente Hugo Stiglitz ( Til Schweiger) e la stessa Shosanna.
Ribaltamento, messa in scena e ironia sono poi le eredità postmoderne ri-editate da Quentin Tarantino come armi riconoscibili del passato e strumenti ancora validi se usati con consapevolezza (del passato ormai passato del postmoderno). Alzi la mano chi non ha amato i monologhi di Aldo Raine (Brad Pitt), la messa in scena “siciliana” dei tre bastardi alla premiere del film Orgoglio della nazione o ancora l’appeal noir di Shosanna sul finale.
Bisognerà parlare poi della riflessione metacinematografica in Bastardi senza gloria, un discorso teorico che ha bisogno di maggiore spazio e altri luoghi di discussione. Intanto (ri)godiamoci la visione di questa pellicola annunciata come una citazione-pretesto e diventata sullo schermo una godibile visione epica e contemporaneissima.
D'accordissimo su tutto e soprattutto sul valore metacinematografico importantissimo che possiede questo capolavoro tarantiniano.
RispondiEliminaEsatto Ale, è un vero e proprio capolavoro. Compiuto, immaginifico, pronto per il culto. Da rivedere prima di affrontare "Django unchained".
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