domenica 20 luglio 2014

Incubo sulla città contaminata di Umberto Lenzi (1980)



Un aereo atterra nell’aeroporto cittadino senza alcuna autorizzazione, sulla pista accorrono le forze dell’ordine e il giornalista Dean Miller (Hugo Stiglitz) giunto lì per intervistare lo scienziato responsabile di un incidente nucleare. Nella cabina di pilotaggio sembra non esserci nessuno e solo dopo qualche minuto i portelloni si aprono per far scendere una masnada di individui sfigurati dalle radiazioni ma, sorpresa! Affatto macilenti ma abili e biechi nell’uso delle armi con le quali squarciano corpi, soprattutto gole, da cui bevono sangue a profusione. Inizia così Incubo sulla città contaminata, film pandemico di Umberto Lenzi del 1980, al centro della querelle che non sa se inserirlo nel genere zombie o meno (così come La città verrà distrutta all’alba di George A. Romero e 28 giorni dopo di Danny Boyle).
Nonostante la pochezza della messa in scena, i vaghi riferimenti sociali e il rosario granguignolesco e titillante di uccisioni e sfigurazioni, trovo deliziosa l’operazione fatta sui devastati dalle radiazioni: individui a metà fra lo zombie e il vampiro. Come non notare il riferimento alla nave fantasma che conduce il conte Dracula in Inghilterra nell’aereo deserto e atterrato senza preavviso? In più i devastati hanno bisogno continuo di sangue (che spesso e volentieri sorseggiano dalle gole delle vittime), poiché il loro tessuto poietico è stato compromesso dalle radiazioni.

Da qui in poi sarà un continuo massacro (sullo splendido tema realizzato da Stelvio Cipriani) che colpirà anche la televisione locale, controllata dai militari che censurano il servizio di Dean Miller sulla contaminazione condannando la città a un ribaltamento sociale folle e immerso nel sangue. I devastati irromperanno negli studi televisivi massacrando il corpo di ballo che anestetizzava gli spettatori attraverso il tubo catodico, sgomentandoli con mutilazioni di seni, gole tagliate e crani fracassati. L’inettitudine militare e la follia all’intero dell’ospedale dove lavora la moglie di Dean Miller saranno ripresi e citati da Robert Rodriguez nell’adorabile e costosissimo Planet Terror, ma qui hanno una tale attitudine naïf da far scattare subito il guilty pleasure: dal chirurgo che lancia il bisturi a mo’ di arma ninja alla sala dei bottoni con i militari che osservano l’espandersi della pandemia nel plastico di fronte a loro come le vacche guardano passare i treni, e ancora attacchi di panico in ascensore, giovani pruriginosi da bodycount slasher, figure gotiche da racconto di Poe (la scultrice di busti simili ai devastati dalle radiazioni, sic!) e incursioni in emoteca il film si chiude, o forse no, con un ritorno circolare all’inizio e via, l’incubo ricomincia.

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