Un aereo
atterra nell’aeroporto cittadino senza alcuna autorizzazione, sulla pista
accorrono le forze dell’ordine e il giornalista Dean Miller (Hugo Stiglitz)
giunto lì per intervistare lo scienziato responsabile di un incidente nucleare.
Nella cabina di pilotaggio sembra non esserci nessuno e solo dopo qualche
minuto i portelloni si aprono per far scendere una masnada di individui
sfigurati dalle radiazioni ma, sorpresa! Affatto macilenti ma abili e biechi
nell’uso delle armi con le quali squarciano corpi, soprattutto gole, da cui bevono
sangue a profusione. Inizia così Incubo sulla città contaminata, film
pandemico di Umberto Lenzi del 1980,
al centro della querelle che non sa se inserirlo nel genere zombie o meno (così
come La città verrà distrutta all’alba di
George A. Romero e 28 giorni dopo di
Danny Boyle).
Nonostante
la pochezza della messa in scena, i vaghi riferimenti sociali e il rosario granguignolesco
e titillante di uccisioni e sfigurazioni, trovo deliziosa l’operazione fatta
sui devastati dalle radiazioni: individui a metà fra lo zombie e il vampiro.
Come non notare il riferimento alla nave fantasma che conduce il conte Dracula
in Inghilterra nell’aereo deserto e atterrato senza preavviso? In più i
devastati hanno bisogno continuo di sangue (che spesso e volentieri sorseggiano
dalle gole delle vittime), poiché il loro tessuto poietico è stato compromesso
dalle radiazioni.
Da qui in
poi sarà un continuo massacro (sullo splendido tema realizzato da Stelvio
Cipriani) che colpirà anche la televisione locale, controllata dai militari che
censurano il servizio di Dean Miller sulla contaminazione condannando la città
a un ribaltamento sociale folle e immerso nel sangue. I devastati irromperanno
negli studi televisivi massacrando il corpo di ballo che anestetizzava gli
spettatori attraverso il tubo catodico, sgomentandoli con mutilazioni di seni,
gole tagliate e crani fracassati. L’inettitudine militare e la follia all’intero
dell’ospedale dove lavora la moglie di Dean Miller saranno ripresi e citati da
Robert Rodriguez nell’adorabile e costosissimo Planet Terror, ma qui hanno una tale attitudine naïf da far
scattare subito il guilty pleasure:
dal chirurgo che lancia il bisturi a mo’ di arma ninja alla sala dei bottoni
con i militari che osservano l’espandersi della pandemia nel plastico di fronte
a loro come le vacche guardano passare i treni, e ancora attacchi di panico in
ascensore, giovani pruriginosi da bodycount
slasher, figure gotiche da racconto di Poe (la scultrice di busti simili ai
devastati dalle radiazioni, sic!) e incursioni in emoteca il film si chiude, o
forse no, con un ritorno circolare all’inizio e via, l’incubo ricomincia.
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