lunedì 21 maggio 2012

Breakfast Club di John Hughes (1985)


Manifesto generazionale sottoforma di pellicola, ha avuto la prontezza di fissare nel modo migliore quella MTV Generation che da lì a breve sarebbe esplosa, moltiplicandosi negli anni a venire in decine e decine di nicchie sociali (leggi anche appetibili segmenti commerciali). Parliamo del sempreverde Breakfast Club di John Hughes che con questo film riprese il filone generazionale cinematografico contemporaneo degli High School Movie, poi traslatosi con risultati altalenanti nella serialità televisiva (Beverly Hills 90210, Dawson’s Creek) per arrivare oggi alla deriva nel reality (si pensi al programma Made di MTV). Il film è ricordato anche per le qualità cinematografiche, tra cui dialoghi e sceneggiatura memorabili.
È il 24 marzo 1984. Siamo a Chicago ed è sabato pomeriggio. Un gruppo di automobili si avvicina all’ingresso principale della Shermer High School, al volante alcuni genitori che lasciano di fronte all’ingresso i propri figli, costretti a passare per punizione un pomeriggio intero nella biblioteca della scuola. Fa eccezione Bender (Judd Nelson) che avvolto in un lercio cappotto di panno raggiunge a scuola a piedi. Già dalle prime inquadrature si delinea la base su cui Hughes intende poggiare Breakfast Club: la tipizzazione sociale dei diversi personaggi che da individui incarnano cinque diverse categorie giovanili. Claire Standish (Molly Ringwald) è la «principessa di papà», ricca, vergine e popolare, Andrew Clark (Emilio Estevez), la sua controparte maschile, sportivo, icona della scuola, vive carico di aspettative (alcune davvero oscure) da parte del padre, Brian Johnson (Anthony Michael  Hall) è il classico nerd, secchione e sensibile, Allison Raynolds (Ally Sheedy) è la disadatta, dark, stramba e creativa (anche nella menzogna) e John Bender, l’outsider, anticonformista, sessualmente libero e scanzonato, con una famiglia violenta e disfunzionale alle spalle. Cinque declinazioni che Hughes intrappola nella biblioteca della scuola per raccontare un’intera generazione. 

Chi sono io?

Le cinque identità diverse descrivono se stesse e la percezione che hanno delle altre attraverso il dialogo, che dalle scaramucce iniziali – causate dalla definizione pregressa degli stereotipi («Lei ci vede come UN CERVELLO, UN ATLETA, UNA SCHIZZATA, UNA PRINCIPESSA e UN CRIMINALE. Giusto? E proprio così ci siamo visti stamattina» dirà la voce narrante di Brian in apertura) – arriva al confronto psicoanalitico attraverso alcuni giochi verbali messi su dai ragazzi per ammazzare il tempo. Con l'aiuto del motore narrativo costituito dall’outsider Bender – che sembra il più lucido di tutti nell’estremizzare scientificamente le reazioni dei compagni – i ragazzi arriveranno a raccontarsi senza censure, toccando tutti i temi centrali della propria età: l’accettazione di sé e degli altri, l’amicizia, il giudizio della società, le proprie aspettative e quelle dei genitori, lo scopo della propria esistenza, l’ascolto degli altri (contro il giudizio a priori), il dono di sé e ovviamente il sesso.
L’unità di luogo è essenziale per il raggiungimento dello scopo: sembra che i protagonisti non possano esprimere se stessi (come vorrebbe il tema loro assegnato per punizione) al di fuori dei vuoti corridoi, degli uffici spersonalizzanti, degli archivi pruriginosi e dell’ampia sala lettura della biblioteca (dove i ragazzi vuoteranno letteralmente il sacco).
Infine è bene ricordare i ruoli minori ma essenziali giocati dal professor Vernon (Paul Gleason) e dal bidello so smart Carl Reed. Il primo è disilluso, non tollera che i giovani di cui è senza dubbio il principale antagonista possano diventare la classe dirigente del futuro, il secondo definisce se stesso come «gli occhi e le orecchie della scuola». Fatta eccezione per i genitori – presenti in larga parte nei dialoghi dei ragazzi – questi due personaggi sono il sostanziale confronto che essi hanno con il mondo adulto. Vernon rappresenta il pensiero mainstream, l’istituzione omologante da combattere, si disprezza (o si teme) per il ruolo incarnato, il secondo è deriso perché agli occhi tutti in potenza dei ragazzi rappresenta la sconfitta, il tentativo fallito senza più remissione.

In definitiva credo sia necessario recuperare Breakfast Club sia per comprendere le origini della cultura giovanilistica contemporanea, i suoi modelli e le istanze, sia per riscoprire una pellicola meravigliosa, emozionale e di grande qualità.

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