Fa davvero piacere ritrovare Tim Burton in piena forma, coerente sia
con l’immaginario che l’ha reso riconoscibile nel mondo sia con la macabra e
fiabesca ironia che l’ha contraddistinto dai tempi di Beetlejuice e Edward mani di forbice. Il primo punto di partenza è certamente
l’amore dichiarato per la soap opera gotica Dark
Shadows su cui è basata la pellicola, ma non basta (pensiamo
all’imbarazzante Alice in Wonderland).
In Dark Shadows a fare la differenza è il recupero (insieme alla grande carica immaginifica che non
ha mai abbandonato il regista di Big Fish) delle istanze ironiche del suo cinema negli anni Novanta.
Andiamo con ordine. L’idea è di
realizzare un remake (non di certo il primo) della fortunata soap opera gotica Dark Shadows che nella sua
programmazione originale tenne incollati gli spettatori dal 1968 al 1971, con
ben 1225 episodi. Dark Shadows, che
inizialmente non possedeva istanze sovrannaturali, passò alla storia per essere
la prima soap ad aver introdotto elementi come fantasmi, vampiri (la serie
iniziò ad avere successo dall’introduzione del vampiro Barnabas Collins nel
cast), lupi mannari, zombie, streghe, viaggi nel tempo e universi paralleli. Bisogna
dirlo, il lavoro di Tim Burton è eccellente e raffinato. Il regista de Il mistero di Sleepy Hollow, nel prologo
racconta di come la famiglia inglese dei Collins sia giunta nel Maine per
mettere su una grande impresa ittica, la cui fortuna si rifletterà nello
sviluppo di un porto e di una cittadina, che proprio dalla famiglia d’imprenditori
prenderà il nome di Collinsport. È delizioso come Burton riproponga le istanze
del gotico americano nella figura di H.
P. Lovecraft ambientando la vicenda nel Maine, in una cittadina portuale nei
cui anfratti si officiano oscuri rituali e le cui scogliere sono scenario di
inspiegabili e orribili morti suicide. Un immaginario che richiama alla memoria
la cittadina di Innsmouth dei racconti lovecraftiani.
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Dark Shadows: soap opera gotica. |
Uno dei punti di forza della pellicola è
sicuramente il cast: oltre a Johnny Depp,
impegnato in una perfomance d’ironia inconsapevole da time travel (come quando Barnabas scambia la “M” luminosa di
McDonald’s per il monogramma di Mefistofele), sono presenti una Michelle Pfeiffer spigolosa e decadente nel ruolo della matriarca Elizabeth (che in una
delle stanze segrete del castello tiene il suo laboratorio di macramè), Helena Bonham Carter che conserva la nuance mogano della Regina di cuori di Alice in Wonderland per interpretare la
dottoressa Hoffman (il cui nome richiama lo scrittore tedesco Ernest Theodor
Amadeus Hoffman, esponente del romanticismo tedesco), una psichiatra alcolista
che vuole ottenere la vita eterna tramite una dialisi con sangue di vampiro,
Jonny Lee Miller che riprende i panni del truffatore (era il Sick Boy di Trainspotting) per interpretare il
mellifluo Roger Collins, Bella Heathcote che interpreta sia il ruolo di Josette
nel 1776 che quello della governata medium Victoria Winters nel 1971 e infine
lei, la strega biondo platino (sono gli anni Settanta dopotutto), libidinosa e
vendicativa Angelique, interpretata da una splendida Eva Green (tenetevi pronti
per il mirabolante rendez-vous tra lei e Barnabas sulle note di Barry White).
Infine fa piacere segnalare la scelta d recuperare
l’estetica camp tipica della soap opera originale, qui evidente nei costumi,
nelle scenografie, nella recitazione ammiccante, nel ribaltamento identitario
di alcuni dei personaggi come Victoria o l’adolescente problematica Carolyn
(uno dei personaggi più riusciti), nella straniante servitù (provate a
riconoscere l’attempata e ieratica Mrs Johnson in molte delle inquadrature più
mirabolanti!), nell’appeal sessuale esibito dal cadaverico Barnabas e dalla nivea
e mefistofelica Angelique e nell’incredibile cameo che vede Alice Cooper
esibirsi nella magione Collinwood inguainato in una camicia di forza.
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