sabato 12 maggio 2012

Dark Shadows di Tim Burton (2012)


Fa davvero piacere ritrovare Tim Burton in piena forma, coerente sia con l’immaginario che l’ha reso riconoscibile nel mondo sia con la macabra e fiabesca ironia che l’ha contraddistinto dai tempi di Beetlejuice e Edward mani di forbice. Il primo punto di partenza è certamente l’amore dichiarato per la soap opera gotica Dark Shadows su cui è basata la pellicola, ma non basta (pensiamo all’imbarazzante Alice in Wonderland). In Dark Shadows a fare la differenza è il recupero (insieme alla grande carica immaginifica che non ha mai abbandonato il regista di Big Fish) delle istanze ironiche del suo cinema negli anni Novanta.
Andiamo con ordine. L’idea è di realizzare un remake (non di certo il primo) della fortunata soap opera gotica Dark Shadows che nella sua programmazione originale tenne incollati gli spettatori dal 1968 al 1971, con ben 1225 episodi. Dark Shadows, che inizialmente non possedeva istanze sovrannaturali, passò alla storia per essere la prima soap ad aver introdotto elementi come fantasmi, vampiri (la serie iniziò ad avere successo dall’introduzione del vampiro Barnabas Collins nel cast), lupi mannari, zombie, streghe, viaggi nel tempo e universi paralleli. Bisogna dirlo, il lavoro di Tim Burton è eccellente e raffinato. Il regista de Il mistero di Sleepy Hollow, nel prologo racconta di come la famiglia inglese dei Collins sia giunta nel Maine per mettere su una grande impresa ittica, la cui fortuna si rifletterà nello sviluppo di un porto e di una cittadina, che proprio dalla famiglia d’imprenditori prenderà il nome di Collinsport. È delizioso come Burton riproponga le istanze del gotico americano nella figura di H. P. Lovecraft ambientando la vicenda nel Maine, in una cittadina portuale nei cui anfratti si officiano oscuri rituali e le cui scogliere sono scenario di inspiegabili e orribili morti suicide. Un immaginario che richiama alla memoria la cittadina di Innsmouth dei racconti lovecraftiani.

Dark Shadows: soap opera gotica.
La vicenda si sposta dal prologo “maledetto” ambientato nel 1776 - in cui la strega sedotta e abbandonata Angelique Bouchard (Eva Green, qui totalmente al servizio del regista) ha trasformato il povero Barnabas in un vampiro, rinchiudendolo poi in una bara sotterrata nel bosco – al 1971 dove gli eredi Collins vivono nella magione in decadenza di Collinwood. Risvegliatosi per caso e dopo essersi ampiamente saziato del sangue degli operai che hanno avuto la sfortuna di dissotterrare la sua bara, Barnabas (interpretato, neanche a dirlo, da Johnny Depp) ritorna a casa per fare la conoscenza dei propri eredi e rimettere in sesto l’attività di famiglia.
Uno dei punti di forza della pellicola è sicuramente il cast: oltre a Johnny Depp, impegnato in una perfomance d’ironia inconsapevole da time travel (come quando Barnabas scambia la “M” luminosa di McDonald’s per il monogramma di Mefistofele), sono presenti una Michelle Pfeiffer spigolosa e decadente nel ruolo della matriarca Elizabeth (che in una delle stanze segrete del castello tiene il suo laboratorio di macramè), Helena Bonham Carter che conserva la nuance mogano della Regina di cuori di Alice in Wonderland per interpretare la dottoressa Hoffman (il cui nome richiama lo scrittore tedesco Ernest Theodor Amadeus Hoffman, esponente del romanticismo tedesco), una psichiatra alcolista che vuole ottenere la vita eterna tramite una dialisi con sangue di vampiro, Jonny Lee Miller che riprende i panni del truffatore (era il Sick Boy di Trainspotting) per interpretare il mellifluo Roger Collins, Bella Heathcote che interpreta sia il ruolo di Josette nel 1776 che quello della governata medium Victoria Winters nel 1971 e infine lei, la strega biondo platino (sono gli anni Settanta dopotutto), libidinosa e vendicativa Angelique, interpretata da una splendida Eva Green (tenetevi pronti per il mirabolante rendez-vous tra lei e Barnabas sulle note di Barry White).

Infine fa piacere segnalare la scelta d recuperare l’estetica camp tipica della soap opera originale, qui evidente nei costumi, nelle scenografie, nella recitazione ammiccante, nel ribaltamento identitario di alcuni dei personaggi come Victoria o l’adolescente problematica Carolyn (uno dei personaggi più riusciti), nella straniante servitù (provate a riconoscere l’attempata e ieratica Mrs Johnson in molte delle inquadrature più mirabolanti!), nell’appeal sessuale esibito dal cadaverico Barnabas e dalla nivea e mefistofelica Angelique e nell’incredibile cameo che vede Alice Cooper esibirsi nella magione Collinwood inguainato in una camicia di forza. 

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