Ridley Scott con Prometheus torna a
narrare all’interno dell’universo che già fu di Alien (1979), operando un salto temporale all’indietro (qui siamo
nel 2093 mentre il primo Alien è
ambientato nel 2122). Prometheus, pur tralasciando la creatura aliena che
ha avuto tante (troppe) incarnazioni cinematografiche (ne siamo poi così
sicuri? Non alzatevi prima dei titoli di coda), ci porta alle origini della
Weyland-Yutani, qui ancora Weyland
Corporation e al primo prototipo di capsula per l’ipersonno.
Il regista che creò la mitologia xenomorfa riprende alcune delle
sue ossessioni preferite: la curiosità e l’arroganza (paradossalmente)
semplicistica dell’uomo di scienza, l’identità, la maternità e l’alterità, adattandole
all’interno di un racconto sci-fi. Un genere, che - come già dimostrato da
Scott stesso in Blade Runner e nel
già citato Alien – possiede un forte
impatto allegorico. In Prometheus Ridley Scott moltiplica e
scompone il mito del titano che volle gli umani pari agli dei e lo fa in
maniera raffinata e imponente. Il regista di Blade Runner con l’aiuto di Damon Lindelof, incarna le intenzioni del titano nella nave spaziale che porta il
suo nome. Come Prometeo che apprese da Atena la matematica, l’astronomia e l’arte
della navigazione, insegnandole poi agli uomini, l’equipaggio del Prometheus è
un esaustivo saggio di figure scientifiche (antropologi, geologi, biologi,
medici) che corre alla ricerca dei propri creatori, per porsi di fronte ad essi
da pari. Il proposito nasce dalla possibilità che la tecnologia da loro, è il
moderno fuoco che il padre degli dei tentò di togliere agli uomini onde evitare
che ottenessero una conoscenza tale da raggiungere l’Olimpo. Come Zeus nel mito
di Prometeo anche qui i creatori, chiamati «ingegneri», vogliono distruggere il genere umano e per far ciò hanno
costruito un vaso di Pandora, un pianeta artificiale in cui hanno stipato,
sotto le invitanti vestigia di un tempio, un’arma terribile, un organismo in
grado di annientare qualunque forma di vita, senza discriminazioni. Ridley Scott plasma la figura del saccente
scienziato Charlie Holloway (Logan Marshall-Green) sui tratti che furono di
Pandora. Al pari della creatura che Zeus donò a Epimeteo (fratello di Prometeo)
per irretirlo, Holloway è stupido e spocchioso e porta egualmente alla rovina il
genere umano.
David, raffinato androide. |
Se la saga di Alien
ha avuto la sua eroina in Ellen Ripley (Sigourney Weaver), nata nelle intenzioni
di Ridley Scott come allegoria della maternità, primigenia, protettiva,
essenziale, oggi i tempi bui in cui viviamo meritano l’umbratile dottoressa Elizabeth Shaw (una assai fisica Noomi Rapace) traumatizzata, spinta dalla fede, altrettanto coraggiosa ma fragile (nonostante
l’incredibile cesareo che si autoproduce in una delle sequenze più weird del film), annichilita dalla nuova
consapevolezza sulle intenzioni micidiali dei creatori, avrà bisogno di un
input esterno per continuare - dopo l’olocausto della nave Prometheus - la ricerca
dell’Olimpo. Non è un caso che tale input arrivi, nel finale, dal memorabile
personaggio di David, reso iconico dall’interpretazione
magistrale del mai troppo celebrato Michael Fassbender. David è un raffinato androide che nei due anni di rotta della
Prometheus, passati a studiare il modo migliore di comunicare con gli
ingegneri, sviluppa una profonda e complessa crisi d’identità. Crisi che Scott rappresentata
nell’emulare da parte di David l’aspetto di Peter O’Toole in Lawrence of Arabia. Personaggio che l’androide
cita direttamente anche in alcune battute come «Non c’è niente nel deserto e nessuno
ha bisogno di niente». Come Lawrence
anche David è raffinato, silente e intelligente. Si muove rapido ed efficace raggiungendo gli obiettivi
prima degli esseri umani ma in lui, sotto la superficie della sua pelle e nel
profondo dello sguardo non-vitreo, si agitano le domande e le istanze che trent’anni
fa si poneva l’androide Rachel di Blade
Runner. Come Rachel, David desidera essere umano, è lui il vero alieno, l’altro,
che entra in crisi nonostante le sopraffine qualità e gli obiettivi raggiunti.
In
definitiva Prometheus è un
meraviglioso viaggio in cui l’alterità aliena si ribalta e coincide con l’umanità
(nel bene, molto più spesso nel male), un’avventura allo stesso tempo concettuale,
spettacolare e squisitamente cinematografica.
Bellissima recensione per un film che mi ha totalmente conquistata. Domani pubblico anche la mia :) David è uno dei personaggi dell'anno ormai.
RispondiEliminaAle ti ringrazio.
RispondiEliminaHa conquistato anche me, sin dai titoli di testa, con quelle imponenti e splendide inquadrature. David entra di diritto nei nostri cuori (geek e non)!
Ti dirò che io un pizzico di delusione l'ho provata. A fronte di un impianto visivo sicuramente affascinante e coinvolgente, ho trovato che la sceneggiatura fosse un pò traballante.
RispondiEliminaPaolo, molti hanno avuto la tua stessa reazione. Io invece mi sento di difendere la scrittura di Lindelof/Scott. Credo abbiamo davvero riadattato il mito del titano che volle gli uomini uguali agli dei.
RispondiEliminabello sì ... ma non mi coinvolto profondamente come film, il finale (aperto ad ovvi seguiti) mi è comunque piaciuto. Blade Runner è stato un film che mi ha preso da quando mi sono seduto a quando sono uscito, sono rimasto senza parole la prima volta.
RispondiEliminaAlessandro, molti non hanno apprezzato appieno Prometheus, io invece l'ho amato molto, propongo di rivederlo a distanza per coglierne tutte le caratteristiche, davvero interessanti e cinematografiche nel senso migliore del termine. Pensiamo all'ottima caratterizzazione dei personaggi, in particolare David ed Elizabeth Shaw o a sequenze di grande impatto come quella dell'auto-cesareo.
EliminaAnch'io amo molto Blade Runner, un film in grado di rilasciare una vasta gamma di emozioni nello spettatore, un manifesto insuperato dell'incertezza contemporanea.