«Siccome TUTTE le versioni
accettate del passato sono state in qualche misura falsificate nella
trasmissione ai posteri, gli artisti contemporanei dovrebbero sentirsi liberi
di inventare una qualsiasi versione a propria scelta.», questa citazione di Larry
McCaffery, che così compendiava la sua antologia Schegge d’America. Nuove avanguardie letterarie è perfetta per
introdurre il romanzo Lo spazio sfinito di Tommaso Pincio pubblicato nel 2000
nella leggendaria collana Avantpop di Fanucci e ripubblicato nel 2010 da Minimum Fax. Lo stesso autore introduce
così la sua storia «Questo libro è frutto
dell’immaginaria manipolazione di una storia mai accaduta. Nomi, persone e
fatti coincidono talvolta con la realtà ma nelle intenzioni dell’autore si
riferiscono esclusivamente al mondo della finzione». Il romanzo è
ambientato in un immaginifico, soffuso e malinconico 1956 “altro”, in cui le
multinazionali travalicando i confini produttivi e finanziari hanno già
permeato la realtà terrestre dividendosi il controllo di uno spazio che è più
categoria ontologica che luogo fisico, un’idea simbolica e memetica che stimola
l’immaginazione delle masse di consumatori, così monetizzata e controllata. Fra
i giganti la Coca Cola Enterprise Inc. stimola non solo il palato ma anche i
desideri dei consumatori, attraverso invenzioni pubblicitarie come le bottiglie
Space che offrono la possibilità di una visione interstellare (non priva di
rischi) comodamente racchiusa all’interno di un prodotto facilmente reperibile
sullo scaffale del supermercato. Per la compagnia trova lavoro Jack Kerouac che
dovrà svolgere la semplice e alienante mansione di controllore di orbite. Il
suo capo è uno spocchioso e idiosincratico Arthur Miller, sposato con una certa
Norma Jeane Mortenson, creatura triste e sola, imprigionata in una futuribile
casa posta su una cascata.
Nell’universo de Lo
spazio sfinito oltre a Kerouac e Miller, riconosciamo i simulacri simbolici
e reinterpretati di Neal Cassady (anche qui amico di Kerouac sopra le righe),
Bill Burroughs (qui investigatore drogato di pillole all’ossigeno), attraverso
le comunicazioni fra controllori interspaziali ci arrivano le voci di James
Dean (che lavora per il Walt Disney Institute), Kevin McCarthy (DNA Inc.), Cary
Grant (Du Pont Co.), è persino citato l’affaire
«a sangue freddo» fra Lucien Carr e il suo stalker ante-litteram David Kammerer, ma è lei a giganteggiare: la splendida
e assoluta icona Marilyn Monroe che non possiamo fare a meno di amare e
idolatrare anche qui, dove Tommaso Pincio la divide in due personaggi, Norma Jeane Mortenson, moglie turbata e Marilyn Monroe, modella, attrice e commessa in una libreria senza libri, sovrastante
qualunque impiego, magnetica nel suo simbolico rossetto specchiato. Di lei
s’innamorerà perdutamente Neal Cassady instaurando un rapporto telefonico con Norma
Jeane (che crede la sua Marilyn). Una storia d’amore analogico che diventa metafora
letteraria.
Lo Jack Kerouac de Lo spazio sfinito (disegno di T. Pincio). |
Il valore del simbolo e della
simbolizzazione è essenziale ne Lo spazio
sfinito. Siamo in America, dove la cultura (e quindi la società) trova
fondamento nel simbolo, ed è lo stesso nell’universo “altro” e Avant-Pop di
Tommaso Pincio, «Negli anni Cinquanta il valore simbolico delle cose era
fondamentale. La gente si vestiva tutta allo stesso modo e pretendeva un
significato per tutto. Ogni cosa doveva corrispondere a qualcosa. Gli atti
sconvenienti erano quelli che non avevano un significato chiaro.» (p. 56). il simbolo è
qui lo strumento per trasformare l’intellegibile flusso storico in un insieme
di materiali da decostruire, trasformare, ricollocare.
La presenza degli storici impegnati nella
ricostruzione delle vicende narrate (ma sarà poi davvero così?) nonché la presenza
del libro di Marc Bloch Storia e
passatempo (presente solo nel 1956 de Lo
spazio sfinito), sono ulteriori metafore della “possibilizzazione” della
storia alla base di questa stupenda narrazione, «è quella che gli storici
chiamano possibilizzazione del Passato e si fonda sull’idea che la realtà non
sia altro che un piano inclinato e che i fatti non possano far altro che
rotolare verso il basso ovvero verso la finzione» (p. 67).
Fra simboli e immagini meravigliose
(come le catwalker nello spazio e
tutto il capitolo 1956) Tommaso
Pincio chiude la sua narrazione in un inghiottire malinconico, un fade to gray già saturo, in qualche modo
corrotto, che ci lascia in uno stato di sadness,
tutt’oggi categoria emozionale e artistica contemporaneissima.
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