L’incarnazione italiana
dell’estetica Avant-Pop non fu affatto unitaria né unificante. Seppur
accomunati da una certa sensibilità nei confronti della società dello
spettacolo, del postmoderno e dell’identificazione di vita sociale e cultura,
gli scrittori di narrativa italiana degli anni Novanta (per parafrasare una definizione
di Elisabetta Mondello, la prima a mettere ordine storiografico nel caos
polimorfo di quegli anni) hanno affrontato percorsi individuali diversi, unici,
rifiutando presto l’etichetta di Cannibali
che li aveva portati, insieme, alla ribalta.
Il veneziano Tiziano Scarpa è certamente tra i primi a presentare una prova
narrativa in grado di porsi all’interno di questo sistema. L’ha fatto con il
suo testo, ormai di culto, Occhi sulla graticola. Breve saggio sulla penultima storia
d’amore vissuta dalla donna alla quale desidererei unirmi in duraturo vincolo
affettivo (1996). Scarpa realizza un testo composito, un pastiche roboante che
muove dalle istanze-pretesto della saggistica per attraversare stili e registri
diversi, con un uso onnivoro dei materiali culturali più disparati. Alfredo,
studente impegnato in una tesi sulle brutte figure in Dostoevskij e Carolina,
disegnatrice di genitali nell’edizione italiana di fumetti erotici giapponesi,
vivono in un’iperrealtà pluridimensionale ormai satura da immagini, scelte e
umori (ogni tipo di umori). Questa iperrealtà pone Occhi sulla graticola al centro dell’estetica Avant-Pop. Tiziano
Scarpa sa che in un universo alla deriva il fine primario è quello di registrare,
catturare, assoggettare alla ragione ed enumerare tutto ciò che ci circonda. Lo
fa Alfredo, che si procura una continua e prolungata vertigine della lista per
imprigionare l’identità di Carolina e attraverso questa possederla. Operazione
che lo accomuna con il direttore della rivista di manga per cui lavora Carolina,
Tullio Parmesàn, che registra ogni suo inutile pensiero per paura di perderne il
possesso.
Il racconto in prima persona, il
dialogo filosofico, il lemma, il diario, la lettera, sono solo alcune delle
forme che compongono il pastiche di Occhi
sulla graticola. La narrazione si dipana attraverso essi, attraverso le
liste e i giochi di layout e grafica, costruendo un racconto caleidoscopico che
inizia fra le venefiche acque della laguna veneziana, si muove in appartamenti
dove giovani studenti devono produrre sperma utilizzato come elisir di
giovinezza da un’attempata e sorniona affittuaria e raggiunge la redazione di
una rivista di fumetti giapponesi, dove un mellifluo direttore trincera la sua
redazione dietro a improbabili nomi femminili come Manuela Manopola o, appunto,
Maria Grazia Graticola.
La lingua è altrettanto roboante
e umorale. Nasce e riproduce se stessa in una serie di neologismi e figure
retoriche: come già detto l’enumerazione, la similitudine e l’iterazione che pone
il lettore in un piacevolissimo status di loop
interpretativo. Il lessico ricco, elaborato e ricercato aumenta poi la
sensazione di decadimento della realtà nello stesso tentativo di Alfredo di ordinare
tutti i materiali che egli stesso ha recuperato.
In definitiva Occhi sulla graticola è una delle
espressioni più felici della narrativa Avant-Pop italiana, i cui salti
stilistici e la cui accumulazione di materiali raccontano in maniera esemplare
della crisi del realismo convenzionale, da non confondere, in nessun caso, con
la crisi della narrazione.
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