lunedì 21 novembre 2011

A Dangerous Method di David Cronenberg (2011)

Partiamo dal fatto che A Dangerous Method è una pellicola di David Cronenberg, nel senso che essa s’inserisce perfettamente all’interno dell’Opera complessiva del regista de Il pasto nudo. Non tragga in inganno la sua impostazione dialogica e statica, essa deriva dalla natura teatrale della trasposizione – Christopher Hampton autore della fortunata pièce teatrale tratta dal libro ha anche curato la sceneggiatura del film (N.d.R.)– e per Cronenberg rappresenta lo stesso passaggio per un autore di narrativa alla saggistica. A Dangerous Method racconta dei due numi tutelari della poetica di Cronenberg. Sin da Stereo, il suo primo lungometraggio, ha messo in scena le teorie sulle pulsioni sessuali e la mitologia totemica di Sigmund FreudCrash, Il demone sotto la pelle, Spider – nonché il rapporto tra la mente e la sua proiezione sul reale teorizzato da Carl Jung (Il pasto nudo). 
A Dangerous Method si muove su di un cardine, costituito da Sabina Spielrein (Keira Knightley), prima paziente di Carl Jung poi una delle prime psicoanaliste della storia. È lei a incarnare il “metodo” del titolo, su di lei Jung testa quello teorizzato dal padre-maestro Freud, sempre attraverso lei prova a minarne i connotati divenendone l’amante (ferino e finalmente liberatorio per entrambi), e dopo la definitiva rottura con Freud, ancora via Sabina il disfatto Jung cercherà di recuperare i tratti fisiognomici ed emozionali dell’amato padre-maestro. 

Sigmund Freud e Carl Jung

Il rapporto tra Freud e Jung nasce e matura attraverso lunghe dissertazioni sul metodo (quindi su Sabina), sul dogma che sarà messo in crisi prima dal discepolo (quasi programmaticamente se si pensa alle scene sado dove un impassibile Jung prende a cinghiate le carni di Sabina), poi dichiaratamente, nel confronto diretto con Freud, dove si anticipa uno dei suoi testi più affascinanti: Psicologia dei fenomeni occulti, che segna l’immersione del giovane medico nella parapsicologia. Jung sostiene di fronte al padre-maestro che quelli definiti come fenomeni paranormali sono invece prodotti dell'inconscio collettivo, come i sogni sono spie dell'inconscio individuale. È la rottura. 



Sabina Spielrein
Particolare menzione merita l’interpretazione attoriale dei due medici: Viggo Mortensen si cuce addosso la maschera ironica ma monolitica di Sigmund Freud restituendone l’immagine di un uomo il cui genio è costretto - anche fisicamente, nel piccolo e affollato appartamento dove vive con la numerosa famiglia - in una prigione realizzata da sé stesso. Il Freud di Cronenberg e Hampton non ammette crepe nella visione che gli altri hanno della sua persona e del suo lavoro, foss’anche per opera dell’amato figlio-discepolo. Di contro lo Jung di Michael Fassbender appare per gran parte del film avvolto in una superficie borghese di bell’aspetto e belle speranze, una corazza che non ammette la rappresentazione-manifestazione del disagio, del desiderio o di qualunque altro sentimento. Solo il finale mostrerà, secondo la lezione della Marchesa De Merteuil di Laclos, come il dolore, l’orrore e la sofferenza alla fine riaffiorino sul volto di ognuno. 


Un film “altro” (perché lo ripetiamo: diversa è la dimensione, diverse le istanze) di Cronenberg che ci delizia con i dialoghi à la Crash fra Carl Jung e il medico Otto Gross (Vincent Cassel), sostenitore della liberazione degli istinti sessuali, nel mancamento “tragico” di Freud dopo una seduta della Società Psicoanalitica, nelle descrizioni dei sogni di Sabina che sembrano richiamare certe immagini a metà fra il sensuale e il repellente de Il pasto nudo.



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