lunedì 16 gennaio 2012

La casa dei 1000 corpi di Rob Zombie (2004)


Oh insomma, come dobbiamo considerare il film di Rob Zombie La casa dei 1000 corpi? La cornucopia sanguinolenta e postmoderna che anticipa il vero capolavoro The devil’s rejects? La legittima prima parte di un dittico ossimorico sull'orrore?
Con una pellicola del genere rischiavamo di trattare Rob Zombie (cui riconosceremo sempre il merito di aver ri-editato egregiamente la saga di Halloween) come Robert Rodriguez, il cugino scemo di Quentin Tarantino. In fin dei conti cosa abbiamo ne La casa dei 1000 corpi? Una trama che fa dell’originalità una sconosciuta che non bussa mai alla porta (chiamala scema, chi lo farebbe se non i quattro pruriginosi adolescenti del bodycount?), con personaggi bidimensionali - incapaci di far paura a chicchessia - che acquisteranno connotati dolorosi, iconici, persino narrativi, solo nel sequel.

Quindi, vale o no la pena di vedere La casa dei mille corpi?



Max Horkheimer
In realtà sì, perché nonostante le lacune di un progetto che pare ingessato nel desiderio del suo creatore di realizzare una pellicola sexy e dark, La casa dei mille corpi trova la sua risoluzione nell'utilizzo di effetti speciali, lettering e inserti paracinematografici che descrivono la degenerazione della società dei consumi (neanche a dirlo le vicende si svolgono durante la plasticosa notte di Halloween), asfissiata da pubblicità di terz'ordine e mitologie lise come una t-shirt comprata anni fa in un distributore di benzina.
In La casa dei 1000 corpi il minimalismo morale descritto nelle ricerche degli anni Cinquanta della Scuola di Francoforte è trasfigurato nell'orribile nucleo familiare (strettamente marcato dai confini del ranch in cui vive) dei Firefly. Le dinamiche di parentela, l’affetto filiale e materno, la concezione conservatrice della propria famiglia e della propria casa, su cui si ha potere di far entrare e uscire ciò che si vuole, e dentro la quale s’instaurano regole differenti che all'esterno. Sono queste le caratteristiche che Rob Zombie estremizza e porta alla deriva: ogni membro della famiglia è tollerato dagli altri nelle sue deformità (si pensi a Tiny) e nei suoi orribili appetiti, all'interno della Casa vigono regole orrorifiche che fagocitano, cannibalizzano, ciò che è diverso, ciò che è esterno. In buona sintesi Rob Zombie mette in scena la deriva del pensiero conservatore. Completa l’immaginario un esterno – che come predetto da Horkheimer e compagni – coincide con l’arena mediatica (dolorosamente presente anche in Devil’s Reject).
 Altra deliziosa caratteristica è il citare al cardiopalma di Rob Zombie: dagli show televisivi agli horror movie del passato, dalla storia del cinema (i nomi di alcuni personaggi riprendono quelli di altrettanti ruoli ricoperti dai Fratelli Marx nei loro film) al letterario, soprattutto nel finale in cui si citano nello stesso momento il gotico americano, la science fiction, il pulp e la poesia dell’occulto di Aleister Crowley.
Il tutto a preparazione dell’orrore che fa più paura, quello senza remissione e soprattutto senza motivazione della seconda pellicola narrante le vicende della famiglia Firefly.

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