Il volume Schegge d’America. Nuove avanguardie
letterarie, è utile e illuminante. Il lavoro svolto dal critico
letterario, editore e professore di Inglese e Letteratura Comparata Larry McCaffery è certosino, sostenuto
da una lunga riflessione teorica posta in appendice (cosa che non dovrebbe mai
mancare in un’antologia simile) e completato da una lista di opere letterarie, musicali,
cinematografiche e seriali che presentano comunione d’intenti con i racconti
dell’antologia. Il titolo originale dell’opera è After Yesterday’s crash – The Avant Pop Anthology, e focalizza l’attenzione
proprio sull’estetica Avant-Pop. I ventotto autori presenti offrono diverse
prospettive sull’avant genere. La lettura complessiva del volume fornisce una caleidoscopica
e completa visione dell’Avant-Pop letterario.
Gli autori presenti sono perfettamente coscienti
che tutto ciò che è sociale è anche culturale e che il versamento del culturale
nella vita sociale si è verificato grazie alla tecnologia. Se allora (l’antologia
è del 1997) l’attenzione era puntata su televisione, videoclip, possibilità di
registrazione, cut-up analogico, chat-line, pubblicità, oggi potrebbe focalizzarsi su
social network, Youtube, spettacolarizzazione della politica (già presente nell’antologia
grazie al racconto di Bruce Sterling), identità e sessualità.
Quella dei racconti di Schegge d’America non è una realtà ma un’iperrealtà realizzata per
accumulazione infinita. Accumulazione storica di centinaia di immaginari
artistici, letterari, musicali, di stilemi, generi e prospettive, ormai
irrimediabilmente versate nella soluzione instabile della vita sociale. Questa
iperrealtà centrifugata e impazzita è caratterizzata dalla perdita dell’unità e
quindi della sicurezza (che è anche sicurezza sociale). È proprio su questa
perdita - ci dice Larry McCaffery – che gli autori AP hanno puntato la loro
attenzione. Per questi scrittori (come per gli artisti della pop art) non sono
solo le risorse della cultura alta a offrire materiale per le loro opere, essi
sono attratti dalla cultura popolare, convinti che per una società franta e
postindustriale come quella che stava sviluppandosi (e che oggi giunge alla
sua estremizzazione mortale) solo le risorse della cultura pop potessero essere
totalmente comprese e accettate. Gli autori AP utilizzano tali risorse
(immagini chiave, metafore, punti di riferimento e allusioni) per
manipolazioni, edulcorazioni, riscritture (pratiche tutt’oggi amatissime non
solo per i fandom di riferimento). Per loro il vero realismo – la capacità di
raccontare e riprodurre il reale – è questo: trame non lineari, sincope da
zapping televisivo, velocità e immediatezza del videoclip e della chat-line,
riflessione nichilista e ironica sulla cultura pop. Il tutto avvolto, ammantato,
da implicazioni millenaristiche e apocalittiche che sono allo stesso tempo retaggi dell’atomica e figli della cultura classica (che gli autori Avant-Pop conoscono e amano). Riferimenti apocalittici che
si propongono come soluzione consolatoria per una realtà alla deriva, in
perpetua metamorfosi identitaria.
Larry McCaffery |
Tutti gli autori dell’antologia pongono domande e
propongono soluzioni. Ecco che nel racconto L’esorcista
di Rikki Ducornet, in Nuove luce sui segreti dell’oscurità di Marc Laidlaw e in La speciale macchina fotografica di Ella di David Blair si propone l'utilizzo della macchina fotografica come soluzione utile alla
perpetua accumulazione della contemporaneità e al disorientamento che ne deriva. Nel primo racconto l’esorcista, lo
sciamano, alla continua ricerca del senso della vita (nello scontro fra bene e
male, fra il dio biblico e il demonio) accumula immagini fotografiche di
qualunque cosa arrivi alla sua attenzione («nulla esiste prima di essere visto») cercando di realizzare un catalogo significante del reale. Nei racconti
di Blair e Laidlaw invece si propongono visioni “altre” della storia della
fotografia, più umbratili, gotiche e lovecraftiane.
Per la
rappresentazione parossistica (ma assai fedele alla contemporaneità) di
efferati delitti e dei relativi processi mediatici, meritano menzione i
racconti di Mark Leyner Oh Fratello e Alibi pulp di Paul Di Filippo.
Il primo estremizza, attraverso la cinica avant narrazione di Leyner, il famoso
processo dei fratelli Menendez che uccisero i propri genitori nella lussuosa
villetta in cui vivevano. Leyner mette a difesa dei due giovanotti un avvocato
che sembra uscito dalla televisione seriale per un pubblico televisivo, una
cinica autrice (che ascolta Pindaro in musicassetta) in grado di imbastire una
difesa au contraire che fa dei viziati
fratelli Menendez delle povere vittime. Paul Di Filippo invece fa delle
speculazioni mediatiche sul processo per omicidio di O. J. Simpson, una serie
di micro narrazioni che partono dalla cultura pop per creare degli alibi avant
plausibili per l’ex giocatore di football americano. Alibi in cui O.J. e la
compagna si trovano in scenari da alien movie sci-fi, narrazioni kinghiane con
bambini posseduti da spiriti assassini (Il condominio dei dannati), racconti à
la Conan Doyle e così via.
Ci sono
autori che scelgono invece il paranarrativo, proponendo sceneggiature teatrali
(Paul Auster, Don DeLillo), narrazioni per immagini (Craig Baldwin, David Blair,
Steven Katz). Tali scelte aumentano lo straniamento e la paura dell’ignoto nel caso delle pièce teatrali di Auster e DeLillo, e giocano
con gli altri media (fumetto, cinema, illustrazione) più vicini al cittadino
postindustriale nei restanti casi.
David Foster Wallace |
Meravigliosi
i racconti con una dichiarata sensibilità surrealista: Le incarnazioni dell’assassino di William T. Vollmann, Sonata
al chiaro di luna del cuscino scorreggione di Tom Robbins, Arc d’X di Steve Erickson, EHMH: Un’epopea
millenaria della sacerdotessa AP Eurudice.
Essi giocano con il perimetro indefinibile e slipstream del surrealismo
contemporaneo proponendo narrazioni classiche con topoi cangianti, in continua
metamorfosi identitaria (Vollmann), futuri eucronici di solitudine e ricerca
(Erickson), ironiche e gigantesche visioni surreali rimaneggianti la classicità
(Eurudice).
La
prospettiva freudiana per interpretare la contemporaneità spettacolare e
digitale è utilizzata invece da Robert
Coover e Mark Amerika. Il primo
nel suo racconto Una prima mondiale di
Lucky Pierre racconta la spettacolarizzazione del paracinematografico (l’evento,
la prima) portando contesto e personaggi alla deriva sessuale. Il secondo nel
suo racconto Grammatron descrive la
sincope multi stimolante di una chat-line a metà fra il simposio culturale e il
sesso fra avatar digitali.
Chiude l’antologia
David Foster Wallace, con quello che
a mio parere è il racconto più rappresentativo dell’antologia: Tri-stan. Qui DFW plasma una lingua e
una prosa rapidissima, multiforme e citazionistica, per rappresentare una
storia-metafora della cultura catodica, in cui il mito medievale è
trasfigurato, decostruito e riassemblato in un universo pantelevisivo, in cui
il reale coincide con il media (broadcast, show televisivi, produttori) e la
lingua è creata dallo zapping televisivo.
In
definitiva un’antologia storica e imprescindibile che introdusse al pubblico
dei lettori italiani la mai dimenticata collana «AvantPop» di Fanucci Editore, curata da Luca Briasco e Mattia
Carratello.
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