lunedì 9 gennaio 2012

Schegge d'America. Nuove avanguardie letterarie a cura di Larry McCaffery (1997)


Il volume Schegge d’America. Nuove avanguardie letterarie, è utile e illuminante. Il lavoro svolto dal critico letterario, editore e professore di Inglese e Letteratura Comparata Larry McCaffery è certosino, sostenuto da una lunga riflessione teorica posta in appendice (cosa che non dovrebbe mai mancare in un’antologia simile) e completato da una lista di opere letterarie, musicali, cinematografiche e seriali che presentano comunione d’intenti con i racconti dell’antologia. Il titolo originale dell’opera è After Yesterday’s crash – The Avant Pop Anthology, e focalizza l’attenzione proprio sull’estetica Avant-Pop. I ventotto autori presenti offrono diverse prospettive sull’avant genere. La lettura complessiva del volume fornisce una caleidoscopica e completa visione dell’Avant-Pop letterario.
Gli autori presenti sono perfettamente coscienti che tutto ciò che è sociale è anche culturale e che il versamento del culturale nella vita sociale si è verificato grazie alla tecnologia. Se allora (l’antologia è del 1997) l’attenzione era puntata su televisione, videoclip, possibilità di registrazione, cut-up analogico, chat-line, pubblicità, oggi potrebbe focalizzarsi su social network, Youtube, spettacolarizzazione della politica (già presente nell’antologia grazie al racconto di Bruce Sterling), identità e sessualità.
Quella dei racconti di Schegge d’America non è una realtà ma un’iperrealtà realizzata per accumulazione infinita. Accumulazione storica di centinaia di immaginari artistici, letterari, musicali, di stilemi, generi e prospettive, ormai irrimediabilmente versate nella soluzione instabile della vita sociale. Questa iperrealtà centrifugata e impazzita è caratterizzata dalla perdita dell’unità e quindi della sicurezza (che è anche sicurezza sociale). È proprio su questa perdita - ci dice Larry McCaffery – che gli autori AP hanno puntato la loro attenzione. Per questi scrittori (come per gli artisti della pop art) non sono solo le risorse della cultura alta a offrire materiale per le loro opere, essi sono attratti dalla cultura popolare, convinti che per una società franta e postindustriale come quella che stava sviluppandosi (e che oggi giunge alla sua estremizzazione mortale) solo le risorse della cultura pop potessero essere totalmente comprese e accettate. Gli autori AP utilizzano tali risorse (immagini chiave, metafore, punti di riferimento e allusioni) per manipolazioni, edulcorazioni, riscritture (pratiche tutt’oggi amatissime non solo per i fandom di riferimento). Per loro il vero realismo – la capacità di raccontare e riprodurre il reale – è questo: trame non lineari, sincope da zapping televisivo, velocità e immediatezza del videoclip e della chat-line, riflessione nichilista e ironica sulla cultura pop. Il tutto avvolto, ammantato, da implicazioni millenaristiche e apocalittiche che sono allo stesso tempo retaggi dell’atomica e figli della cultura classica (che gli autori Avant-Pop conoscono e amano). Riferimenti apocalittici che si propongono come soluzione consolatoria per una realtà alla deriva, in perpetua metamorfosi identitaria.


Larry McCaffery
Tutti gli autori dell’antologia pongono domande e propongono soluzioni. Ecco che nel racconto L’esorcista di Rikki Ducornet, in Nuove luce sui segreti dell’oscurità di Marc Laidlaw e in La speciale macchina fotografica di Ella di David Blair si propone l'utilizzo della macchina fotografica come soluzione utile alla perpetua accumulazione della contemporaneità e al disorientamento che ne deriva. Nel primo racconto l’esorcista, lo sciamano, alla continua ricerca del senso della vita (nello scontro fra bene e male, fra il dio biblico e il demonio) accumula immagini fotografiche di qualunque cosa arrivi alla sua attenzione («nulla esiste prima di essere visto») cercando di realizzare un catalogo significante del reale. Nei racconti di Blair e Laidlaw invece si propongono visioni “altre” della storia della fotografia, più umbratili, gotiche e lovecraftiane.
Per la rappresentazione parossistica (ma assai fedele alla contemporaneità) di efferati delitti e dei relativi processi mediatici, meritano menzione i racconti di Mark Leyner Oh Fratello e Alibi pulp di Paul Di Filippo. Il primo estremizza, attraverso la cinica avant narrazione di Leyner, il famoso processo dei fratelli Menendez che uccisero i propri genitori nella lussuosa villetta in cui vivevano. Leyner mette a difesa dei due giovanotti un avvocato che sembra uscito dalla televisione seriale per un pubblico televisivo, una cinica autrice (che ascolta Pindaro in musicassetta) in grado di imbastire una difesa au contraire che fa dei viziati fratelli Menendez delle povere vittime. Paul Di Filippo invece fa delle speculazioni mediatiche sul processo per omicidio di O. J. Simpson, una serie di micro narrazioni che partono dalla cultura pop per creare degli alibi avant plausibili per l’ex giocatore di football americano. Alibi in cui O.J. e la compagna si trovano in scenari da alien movie sci-fi, narrazioni kinghiane con bambini posseduti da spiriti assassini (Il condominio dei dannati), racconti à la Conan Doyle e così via.
Ci sono autori che scelgono invece il paranarrativo, proponendo sceneggiature teatrali (Paul Auster, Don DeLillo), narrazioni per immagini (Craig Baldwin, David Blair, Steven Katz). Tali scelte aumentano lo straniamento e la paura dell’ignoto nel caso delle pièce teatrali di Auster e DeLillo, e giocano con gli altri media (fumetto, cinema, illustrazione) più vicini al cittadino postindustriale nei restanti casi.
David Foster Wallace
Meravigliosi i racconti con una dichiarata sensibilità surrealista: Le incarnazioni dell’assassino di William T. Vollmann, Sonata al chiaro di luna del cuscino scorreggione di Tom Robbins, Arc d’X di Steve Erickson, EHMH: Un’epopea millenaria della sacerdotessa AP Eurudice. Essi giocano con il perimetro indefinibile e slipstream del surrealismo contemporaneo proponendo narrazioni classiche con topoi cangianti, in continua metamorfosi identitaria (Vollmann), futuri eucronici di solitudine e ricerca (Erickson), ironiche e gigantesche visioni surreali rimaneggianti la classicità (Eurudice).
La prospettiva freudiana per interpretare la contemporaneità spettacolare e digitale è utilizzata invece da Robert Coover e Mark Amerika. Il primo nel suo racconto Una prima mondiale di Lucky Pierre racconta la spettacolarizzazione del paracinematografico (l’evento, la prima) portando contesto e personaggi alla deriva sessuale. Il secondo nel suo racconto Grammatron descrive la sincope multi stimolante di una chat-line a metà fra il simposio culturale e il sesso fra avatar digitali.
Chiude l’antologia David Foster Wallace, con quello che a mio parere è il racconto più rappresentativo dell’antologia: Tri-stan. Qui DFW plasma una lingua e una prosa rapidissima, multiforme e citazionistica, per rappresentare una storia-metafora della cultura catodica, in cui il mito medievale è trasfigurato, decostruito e riassemblato in un universo pantelevisivo, in cui il reale coincide con il media (broadcast, show televisivi, produttori) e la lingua è creata dallo zapping televisivo.

In definitiva un’antologia storica e imprescindibile che introdusse al pubblico dei lettori italiani la mai dimenticata collana «AvantPop» di Fanucci Editore, curata da Luca Briasco e Mattia Carratello.

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