di Alessandro Milanese*
Nel 1985 oltre ad avere dodici anni avevo una totale ammirazione per un gruppetto di ragazzi della generazione sopra la mia.
Nel 1985 oltre ad avere dodici anni avevo una totale ammirazione per un gruppetto di ragazzi della generazione sopra la mia.
Esseri
mitologici.
Nati alla
fine degli anni Sessanta, avevano tutto quello che un non ancora adolescente
come me sognava. Moto Enduro 125 con potenze che erano ai miei occhi
smisurate, accentuate da quel rombo meraviglioso del 4 tempi. Capelli lunghi e
perfettamente scompigliati. Idee ben precise su quella che all'epoca mi
sembrava una cosa interessante, la politica, e per ultimo ma fondamentale dei
gusti musicali assolutamente all'avanguardia, con esempi lampanti come toppe
degli U2 in bella vista e addirittura magliette degli Smiths.
Così,
affascinato da tanta cultura, e alquanto confuso sulla mia sessualità visto
l'ardore con cui seguivo e cercavo di imitare quei sedicenni pieni di ormoni e
canzoni, intrapresi la mia strada fatta di vinili, e musicassette copie delle
copie delle copie che suonavano sempre con quel tipico fruscio da onde del
mare.
Arrivarono
gli inevitabili irlandesi e i Simple Minds a ruota, i Cure e il loro cupo gusto
pop, e infine una sera d'inverno fu il turno degli Smiths.
Negli anni in
cui gli ospiti stranieri erano veramente qualcosa per cui valeva la pena
sprecare un oretta davanti al teleschermo.
Morrissey che
si agita in una camicia a fiori aperta forse troppo per la nostra Rai, Marr
impassibile e perfetto, e Ask che in tre minuti diventò la mia canzone
preferita di quel periodo.
Una decina di
anni dopo, grosso modo, quanto avevo la sensazione che il mercato discografico
(inteso come lavoro) mi avrebbe dato da mangiare per il resto della mia vita,
scovai nello scaffale Wea (Warner Bros) un cd di un arancione scuro.
The Smiths –
Louder than bombs.
Partendo dal
presupposto che le copertine, le foto, quelle foto, dei loro dischi han
sempre fatto la differenza, quella volta fu il bollino giallo che per la major
discografica americana indicava le parole magiche Special Price, a convincermi.
Il disco, una
raccolta di singoli e b-side più qualche versione inedita, conteneva già
parecchie canzoni in mio possesso, ma come si suol dire. Un disco in più degli
Smiths a prezzo economico non si poteva rifiutare.
Dopo anni e
anni, quello che sul momento mi era sembrato solo un vezzo, ora è il mio disco
preferito della loro discografia.
Perché in un
mix letale contiene le due anime del gruppo, quella super pop ma colta dei
singoli meglio riusciti: dal già citato Ask, a Hand in glove,
passando per Panic e Shoplifters of the
World Unite, e quella più intima e meno da Bbc radio di alcuni retro di
singoli, come la stupenda ballata Half a person che fa impallidire
tutt'oggi ogni Lara del Rey del pianeta, o la tenerezza composta di Asleep,
l'acustica Strech out and wait che apre al finale di disco e che è di una
bellezza forse inarrivabile per chiunque abbia mai scritto una canzone. Con
l'accoppiata Plaese plase... e This night has opened my eyes che
portano l'asticella talmente in alto che il riferimento delle loro misure è
rimasto per gli anni a venire qualcosa con cui tutti si sono misurati
(Interpol, Gene, Suede, Cramberries, Blur ecc.).
L'anno
seguente a Louder than bombs uscì Strangeways, here we come, capitolo finale
della band, che a differenza di quasi tutti i gruppi rock (anche citati in
precedenza, vedi: U2) decise di sciogliersi avendo ancora molto da dire.
Arrivarono i
dischi solisti di Morrissey, alcuni ottimi come Viva hate o Your
arsenal, e progetti curiosi e discutibili del buon Marr.
Ma quelli
erano altri tempi, altri anni, ed anch'io in leggero ritardo possedevo una
consumatissima maglietta con solo il faccione incompreso di Steven Patrick
Morrissey e mi sentivo (nonostante che per mia fortuna il Ktm 125 non arrivò
mai) un adolescente arrivato.
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