martedì 24 gennaio 2012

The Devil’s Rejects di Rob Zombie (2005)


Quando nel 2005 uscì La casa del diavolo (meglio usare il titolo originale The Devil’s Rejects), il secondo film di Rob Zombie narrante le vicende della famiglia Firefly, fu immediatamente chiaro che l’operazione del regista e fondatore dei White Zombie era molto più complessa e interessante della cornucopia pulp e citazionistica de La casa dei 1000 corpi. Chiusi i conti con l’amato immaginario di Non aprite quella porta (The Texas chainsaw massacre, 1974) Rob Zombie smantella in maniera programmatica la visione caleidoscopica del primo film, spegne tutte le luci e attenua i colori, altresì scarnifica le figure dei protagonisti che ci appaiono ora come i reietti del titolo. Zombie per realizzare il suo obiettivo chiede a Phil Parmet (che ha una notevole carriera nel campo dei documentari) di occuparsi della direzione della fotografia. Se ne La casa dei 1000 corpi abbiamo visto i Firefly muoversi su un set notturno post-surrealista di matrice splatter in La casa del diavolo li osserviamo alla luce del sole, on the road, macilenti, dolorosamente efferati. L’organismo-famiglia è stato smembrato alle prime luci dell’alba: Mother Firefly (Leslie Easterbrook che sostituisce Karen Black) demoniaca genitrice, umorale ma vinta (nell’accezione più letteraria possibile) è chiusa in una spoglia prigione alla mercé dello sceriffo Wydell (un immenso William Forsythe), Baby Firefly e il fratello Otis (che ha perduto l'albinismo sovrannaturale del primo film) avvolti dalla polvere delle highway americane, sono ora sfatti e lontani dalla placentare protezione della propria casa (si perde tragicamente per i Firefly la libidinosa dicotomia fra interno ed esterno del primo film). I due fratelli, insieme al post-clown loro genitore Captain Spaulding (che ha ancora il faccione di Sid Haig), declinano ferini e violenti le esperienze nel mondo reale secondo la propria natura bestiale (non ritrovata ma di certo libera di esprimersi completamente).


Sid Haig e Rob Zombie sul set di The Devil's Rejects
La casa del diavolo è un lungo racconto sul dolore in tutte le sue manifestazioni, anche le più incomprensibili e gratuite come la tortura. È il tentativo di Zombie di narrare la meschinità e la povertà della natura umana, in alcuni casi caratterizzata dall’ignoranza (messa a confronto con l’efferatezza gratuita), dal bisogno di appartenenza (nel tragico ed epico finale) o da quello di vendetta.
Abbiamo già visto come per Zombie in questa nuova pellicola sui Firefly sia cambiato radicalmente il modo di vedere e rappresentare le cose, la sua però non è una rinuncia al confronto con immaginari culturali precedenti, per sua stessa affermazione La casa del diavolo nasce da schegge impazzite di Gangster Story (la natura del male e la sua scelta), Il mucchio selvaggio (soprattutto in merito all’iconico e sanguinario finale di Peckinpah), La rabbia giovane (l’efferatezza generazionale), confluite nella storia dei Firefly insieme a materiale umano rock tipico del background di Rob Zombie come Danny Trejo e la pornostar Ginger Lynn.

La ricerca, l’attitudine a narrare le manifestazioni della miseria umana sarà portata avanti nel fortunato reboot della saga di Halloween, in cui Rob Zombie cercherà di trovare le radici della violenza sconcertante di Leatherface.

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