Esce per NEO. Edizoni un nuovo volume, un romanzo (almeno da
quello che recita la copertina) di un giovane autore Alessandro Turati. Il
volume ha come titolo Le 13 cose e durante
la lettura mi ha fatto letteralmente saltare sulla sedia. Da tempo mi interrogo
sull’eventualità (plausibile? Impossibile?) di un percorso, una linea di
sperimentazione legata all’Avant-Pop in Italia. Alessandro Turati, esordiente,
mi fa ben sperare.
Le 13 cose
è certamente un romanzo, ma derivatizzato, nato da un brodo post-requiem in cui
si sono diluiti la tradizione emozionale della narrativa giovanilistica, l’utilizzo armato e terroristico di scelte stilistiche e oggetti culturali e la
narrazione in prima persona della letteratura mainstream. Le 13 cose possiede un ritmo sincopato, uno stile paratattico
creato ad hoc per provocare nel lettore – attraverso vere e proprie «piroette verbali» - una sensazione di claustrofobia
che già dalle prime pagine avvertiamo deflagrante e piena di possibili,
infinite soluzioni. I personaggi sono contenitori/erogatori di immaginari
personali franti, interscambiabili, ricostruibili più volte per creare sempre nuove
narrazioni. Quest’operazione induce nell’autore e nel lettore la proposizione
dada di narrazioni altre, limitrofe, contenute nel flusso concitato di quella
maggiore, che di contro si allunga, si ampia e si espande, si gonfia e si
edulcora.
La storia – o le storie – racconta(no) della
sublimazione di un dolore attraverso un racconto picaresco, una trama lineare
su cui sono innestate, come una vera e propria infezione narrativa, centinaia
di microstorie, riscritture, giochi linguistici, motti, citazioni
dall’immaginario culturale e letterario (Gozzano, Ungaretti, Cartesio, David
Lynch) che provocano perturbazione e restituiscono perfettamente la sensazione
di spaesamento e elaborazione del dolore provate dal protagonista scellerato che
ha perso la sua scellerata compagna a causa di un cancro. Meritano particolare
attenzione i finali, onirico-orrorifici. il primo è un ritratto in interni dai
connotati distorti, gonfi (come i due protagonisti), pronto a defluire (o ancora a deflagrare?) nel secondo: un incubo tragicomico a metà fra Fantozzi e il Lucio
Fulci di E tu vivrai nel terrore!
L’aldilà, anche questo già pronto a ricostruirsi in una terza appendice
consolatoria, fiabesca, aperta verso il bosco narrativo, dove è impossibile
passeggiare se non con il rischio di reincarnarsi e mutare in qualcosa d’altro.
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